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Walt Disney: l’uomo diventato immortale grazie ai suoi sogni

«Il mio consiglio invece è di essere bambini il più a lungo possibile e, se sappiamo prenderla nel modo giusto, forse non avremo mai bisogno di crescere! Io non sono mai cresciuto... e non mi sono mai pentito! Tutto ciò mantiene vivi i sogni».

 
Conoscendo a fondo la carriera e la personalità di Walt Disney, si potrebbe pensare che sia stato proprio lui a pronunciarle. E invece l’autore è Mark Twain, uno degli scrittori che più ha influenzato Walt durante la sua giovinezza, con lo spirito di avventura che era capace di infondere nelle sue opere letterarie. Uno spirito che da sempre ha accompagnato il giovane Walt, sin dai primi anni della sua vita: la storia della famiglia Disney è infatti un intreccio di viaggi, spostamenti, cambiamenti, rischi e tenacia. Tutto ciò ha contribuito a formare il carattere di Walt, l’uomo che non ha mai smesso di sognare.

«Lui continuava sempre a disegnare fumetti, invece noi andavamo in cerca di ragazze. E in questo modo ci ha dato una lezione, perché i suoi disegni sono ancora vivi, mentre la maggior parte di quelle ragazze non ci sono più» (Ray Kroc, fondatore di McDonald’s)

 
Una storia che parte da molto lontano, da un cognome normanno di origine romana, d’Isgny, che nel tempo è divenuto simbolo e icona, dopo essere stato adatto in Disney. Dopo che Walt ha deciso di inciderlo per sempre nella storia, non solo del cinema. I suoi antenati dall’Inghilterra si sono spostati in Canada, fino ad arrivare a Chicago, dove il 5 dicembre del 1901 nasce Walter Elias Disney: un nome che è omaggio ad un caro amico di Elias, suo padre, che gli ha donato il suo secondo nome. Elias è una figura fondamentale nella vita del giovane: un uomo severo, quasi mai in grado di capirlo, incapace di supportarlo nei suoi sogni, troppo lontani dalla dura realtà di tutti i giorni con cui la famiglia era costretta a fare i conti; da lui, però, ha potuto imparare la tenacia e lo spirito di sacrificio che lo accompagneranno per tutta la vita.

Dopo pochi anni è lo stesso Elias a prendere una decisione che si rivelerà decisiva nella formazione della personalità di Walt: Chicago è una città troppo pericolosa per crescere dei figli, per cui nel 1905 la famiglia si trasferisce in Missouri, in una fattoria a Marceline, inaugurando uno dei periodi più felici per Walt, da cui nascono diverse delle sue ispirazioni future. A partire dalla compagnia di piante, fiori e animali, che lui inizia a immaginare animati e protagonisti di quelle storie che non smetterà mai di sognare, senza contare che è proprio a Marceline che è ispirata la Main Street di Disneyland. Tuttavia, dopo soli 5 anni, la fattoria non rende economicamente e la situazione complicata obbliga Elias a un nuovo traferimento: la nuova meta è Kansas City, dove si occupa della distribuzione del Kansas City Star, un’attività in cui coinvolge anche i figli e che, se possibile, indurisce ulteriormente il rapporto tra Elias e Walt, come viene anche raccontato in Saving Mr. Banks, quando Tom Hanks, che interpreta Walt, si apre con Pamela Travers (Emma Thompson). E il destino non tarda a mostrarsi, in un pomeriggio di Kansas City, quando il giovane Walt entra di nascosto in un cinema dove viene proiettato Biancaneve, con protagonista Marguerite Clark: la dura punizione subita dopo essere stato scoperto non cancella dai suoi occhi un’opera che risulterà fondamentale nel suo percorso artistico.

«Dobbiamo guardare gli adulti come possibili bambini e i bambini come possibili adulti. Dobbiamo dire cose chiare rivolte all’intelligenza di entrambi. Farli ridere e poi riposare... piangere e poi riposare...»

 
È nuovamente un modello di Disney a pronunciare queste parole: Charlie Chaplin. Incontarlo è il suo sogno quando si trasferisce a Los Angeles dopo essersi allontanato da Chicago – dove nel frattempo era tornato con la sua famiglia e dove ha continuato a esprimere il suo talento facendo disegni per il giornale della scuola – ma soprattutto è lui a donare la personalità al personaggio che più di tutti simboleggia la Disney: Topolino. Walt voleva che, come Chaplin, Mickey Mouse fosse capace di trasmettere emozioni (allegria, spensieratezza, ma anche malinconia) solo attraverso le sue espressioni: un personaggio figlio di una cocente delusione – il coniglio Oswald, creato da lui e Ub Iwerks e ceduto in maniera ingenua alla Universal – e ispirato proprio dai topolini con cui spesso Walt si trovava faccia a faccia nella sua piccola casa di Kansas City.

In breve tempo inizia il percorso che porta Topolino a divenire icona: l’esordio avviene il 15 maggio del 1928, con Crazy Plane, un omaggio a Linderberg, che nel 1927 ha attraversato l’Atlantico. Accolto in maniera molto tiepida, non lascia comunque scoraggiato Disney, che trova nuova ispirazione al cinema, come avvenuto a Kansas City: la visione di Il cantante di Jazz folgora Walt, che decide di introdurre il sonoro nel cinema d’animazione, per cambiarlo per sempre. Il 28 novembre 1928 la première di Steamboat Willie è un successo, che dona a Walt nuova linfa vitale per successive sperimentazioni e a Topolino un successo planetario. Basti pensare all’ammirazione di Sergej Ejzenštejn, o al fatto che nel 1944 la parola d’ordine scelta da Eisenhower per lo sbarco in Normandia sia proprio Mickey Mouse. 

«Fantasia non passerà mai di moda per il semplice fatto che rappresenta un volo in una dimensione che va al di là del tempo. In questa nuova dimensione, qualunque essa sia, niente sente il tempo che passa, niente diventa obsoleto... E nessuno invecchia».

 
È solo il primo passo di una lunga serie di rivoluzioni, che proseguono il 1929 con La danza degli scheletri, il primo di 75 cartoons passati alla storia con il nome di Silly Symphonies, prodotte dal 1929 al 1939. Per Walt sono la possibilità di coniugare l’animazione di animali e piante alla musica, in attesa di un sogno più grande e ambizioso da realizzare: un lungometraggio a colori, di cui il primo modello è Fiori e alberi, del 1932, il primo cartoon a colori della storia. Un anno speciale, per Disney, che riceve anche il primo dei suoi 32 Oscar, per la creazione di Topolino. Il 1933 è l’anno de I tre porcellini che, al di là del valore artistico, permette all’America che ha vissuto la Grande Depressione del 1929 di cantare «Chi ha paura del lupo cattivo?», un’altra dimostrazione di come i cartoon Disney siano ben oltre rispetto a un semplice intrattenimento per bambini, un segnale, come lo sarà poi «When you wish upon a star»  di Pinocchio, inno di speranza durante la Seconda Guerra Mondiale, le cui note risuonano ancora oggi nell’intro dei Classici.
Il 1934 è l’anno di nascita di Paperino, mentre il 1942 José Carioca diventa il simbolo del dialogo tra Stati Uniti e Brasile: chiudendo sui sogni, era solo questione di tempo prima che due geni come Disney e Salvador Dalì si incontrassero, con Destino, datato 1945 ma che ha visto la luce solo nel 2003.

«Specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?»

 
Il 1937 è un vero e proprio spartiacque, merito della testardaggine di Disney, considerato un folle per voler realizzare un lungometraggio animato in Technicolor: quale fiaba se non quella che tanto lo aveva affascinato nel pomeriggio al cinema da bambino? Biancaneve e i sette nani è un successo, che porta Walt Disney a ricevere un Oscar speciale e 7 piccole statuette entrate ormai nella storia. È il primo di quelli che sono divenuti i Classici, in cui Disney in primis ha voluto imprimere una poetica particolare, fatta di musiche, principesse (La bella addormentata nel bosco, Cenerentola), animali parlanti (La carica dei 101, Il libro della giungla), adattamenti di fiabe classiche  (Pinocchio, Alice nel paese delle meraviglie) e, naturalmente, happy ending. Tuttavia, se c’è un’opera che davvero è simbolo e culmine di quel che Walt Disney sognava di realizzare è Fantasia, dove spartiti di musica classica si accompagnano a vere e proprie meraviglie visive, come  il celeberrimo Apprendista stregone. Sono 18 in totale i lungometraggi supervisionati e curati da Walt Disney, che è scomparso il 15 dicembre 1966, qualche mese prima della distribuzione del Libro della giungla. Ma l’eredità di Disney rimane anche nei lungometraggi live action – tra cui senza dubbio spicca Mary Poppins – la creazione di Disneyland nel 1955, col desiderio di creare un luogo dove i presenti potessero sentirsi trasportati un un’altra realtà, e della CalArts (1961), la scuola dove si sono formati diverse personalità forti dell’arte dell’animazione, tra cui i migliori animatori e registi Pixar.

Si dice che Walt non volesse fare i conti con l’idea della morte: non ce n’è stato bisogno, perché è stata la sua vita a renderlo eterno.

Lorenzo Bianchi

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