Il sindaco di Lione, Paul Théraneau (Fabrice Luchini) è in preda a una vera e propria crisi esistenziale: dopo anni di fervente attività politica, l'uomo non ha più alcuna idea sul da farsi. Per far fronte a questo problema, Paul ingaggia una giovane e brillante filosofa di nome Alice Heimann (Anaïs Demoustier). Il dialogo tra i due, completamente opposti l'uno all'altro, permetterà loro di avvicinarsi, confrontarsi e sconvolgere le loro solide certezze.

Dopo Le Grand Jeu (2015), altro film che affondava a piene mani nella riflessione sulla politica, il regista francese Nicolas Parisier prosegue un’esplorazione di taglio analogo con un film più solare e soave, che fa propri i codici della brillantezza ma anche quelli della senilità e dell’appassimento. I dialoghi tra il personaggio di Luchini e quello della radiosa Anaïs Demoustier sono fin da subito decisamente ispirati e dotati di buon ritmo, oltre che capaci di farsi largo nelle contraddizioni dell’esercizio della politica nella contemporaneità e nello scolorirsi irreversibile dei punti fermi di una volta, travolti dall’approssimazione imperante di tempi caotici e imbarbariti. Nonostante le ottime premesse e più di un passaggio sinceramente ispirato, il film di Parisier, pur tenendo alta l’asticella dell’attualità e non lesinando contraddizioni e zone d’ombra, col passare dei minuti si riduce a una contrapposizione troppo manichea e semplificatoria tra filosofia e pragmatismo, tra idealismo scollato dalla realtà e destinato a non interrogare più nella maniera corretta il presente. Una chiave di lettura probabilmente non banale ma dalla quale Alice e il sindaco si lascia un po’ imbrigliare senza trovare ulteriori slanci dialettici, non garantendo così ai suoi due protagonisti una reale evoluzione rispetto ai punti di vista di cui si fanno portatori in partenza e rischiando la medesima afasia di modi e forme in cui la politica rischia spesso di rimanere intrappolata. Significativi, ad ogni modo, gli interpreti, con la Demoustier a tenere testa in maniera egregia al consueto gigionismo istrionico e sopra le righe di Luchini. Presentato alla Quinzaine des réalisateurs del Festival di Cannes 2019.
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