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Basta guardare il cielo
The Mighty
Durata
100
Formato
Regista
Il dodicenne Max Kane (Elden Henson) fa amicizia con Kevin Dillon (Kieran Culkin), il nuovo vicino di casa coetaneo affetto dalla sindrome di Morquio. La massiccia corporatura di Max unita all’intelligenza di Kevin crea un legame potente che mette fine alla reciproca solitudine, li aiuta ad affrontare il passato (il padre di Max) e ad accettare il futuro (la malattia di Kevin).
Il soggetto di partenza (il romanzo Freak the Mighty di Rodman Philbrick) è un terreno privilegiato per far attecchire un racconto di formazione strutturato e lineare che parla al cuore dei giovani adolescenti e riesce a smuovere le emozioni dei più grandi. L’educazione scolastica come antidoto alla vita di strada, la lettura come scoperta di ideali nobili da riportare nel mondo, l’amicizia e la famiglia come i veri luoghi in cui la personalità si forma non sono temi originali ma tipici in questo genere di prodotto e qui sono dosati nel modo giusto, senza eccessiva enfasi. Il finale, anche se prevedibile, non scade in retorica stantia, ma anzi risulta essenziale per lasciare al protagonista la possibilità di crescere ulteriormente e, analizzandola attraverso la scrittura, comprendere la propria sofferenza e maturare a partire da essa. Anche se l’attenzione narrativa è rivolta ai due giovani attori protagonisti, il cuore del film è senz’altro Sharon Stone (anche produttrice): messo da parte il ruolo della femme fatale, è struggente nei panni di una madre che lotta per la salute del proprio figlio, pur consapevole dell’inevitabile esito finale. Contribuiscono alla resa complessiva anche le interpretazioni di Gena Rowlands e Harry Dean Stanton nel ruolo dei nonni burberi, induriti dal dolore, e della camaleontica Gillian Anderson nelle vesti kitsch di Loretta.
Il soggetto di partenza (il romanzo Freak the Mighty di Rodman Philbrick) è un terreno privilegiato per far attecchire un racconto di formazione strutturato e lineare che parla al cuore dei giovani adolescenti e riesce a smuovere le emozioni dei più grandi. L’educazione scolastica come antidoto alla vita di strada, la lettura come scoperta di ideali nobili da riportare nel mondo, l’amicizia e la famiglia come i veri luoghi in cui la personalità si forma non sono temi originali ma tipici in questo genere di prodotto e qui sono dosati nel modo giusto, senza eccessiva enfasi. Il finale, anche se prevedibile, non scade in retorica stantia, ma anzi risulta essenziale per lasciare al protagonista la possibilità di crescere ulteriormente e, analizzandola attraverso la scrittura, comprendere la propria sofferenza e maturare a partire da essa. Anche se l’attenzione narrativa è rivolta ai due giovani attori protagonisti, il cuore del film è senz’altro Sharon Stone (anche produttrice): messo da parte il ruolo della femme fatale, è struggente nei panni di una madre che lotta per la salute del proprio figlio, pur consapevole dell’inevitabile esito finale. Contribuiscono alla resa complessiva anche le interpretazioni di Gena Rowlands e Harry Dean Stanton nel ruolo dei nonni burberi, induriti dal dolore, e della camaleontica Gillian Anderson nelle vesti kitsch di Loretta.
