In un futuro prossimo in cui la criminalità giovanile è schizzata alle stelle e gli adulti hanno perso ogni controllo, le autorità governative emanano il Battle Royale Act: ogni anno una classe di quindicenni preventivamente sorteggiata viene condotta per tre giorni su un'isola deserta e costretta a massacrarsi con ogni tipo di arma. Solo all'ultimo sopravvissuto è concesso il rientro in società.

Alla soglia dei suoi settant'anni, il padre dello yakuza-eiga moderno firma il suo testamento artistico adattando il discusso romanzo omonimo di Koushun Takami, pubblicato l'anno precedente e diventato nel giro di pochi mesi un vero e proprio best seller in Giappone. Impietoso come sempre, dietro un impianto a metà fra lo slasher movie e il survival game, Fukasaku torna a riflettere ancora una volta sulla complessa condizione sociopolitica del suo paese, posando lo sguardo, così come fece in Lotta senza codice d'onore (1973), su un contesto di caos e crudeltà regolato dalla legge del più forte. Forse con pessimismo ancora maggiore, visto che la “lotta senza onore e umanità” che prima avveniva fra fazioni criminali rivali si è ora spostata fra studenti adolescenti della stessa scuola. Che lo spietato gioco messo in scena non sia altro che la metafora di un Giappone sempre più individualista e competitivo è cosa chiara fin dai primi momenti: quello che invece si configura come elemento di novità è il tono ironico e demitizzante nascosto dietro l'alternanza dei registri (epico, sentimentale, grottesco, tragico, ecc.) che, mettendo lo spettatore al corrente della natura “fittizia” e metaforica della pellicola (riscontrabile nella violenza esagerata, nelle dichiarazioni d'amore intempestive, negli atti di eroismo spropositati, nel suono fasullo degli addii in punto di morte), gli impedisce la partecipazione cieca e irriflessiva ai fatti narrati. Il soggetto è potentissimo, così come la prima parte, mentre col passare dei minuti si fa un po' ridondante: in ogni caso, è un'opera che non può e non deve lasciare indifferenti. Prima vietato ai minori di 15 anni dall'EIRIN (la commissione di censura cinematografica giapponese) e poi finito al centro di discussioni parlamentari per la sua presunta nocività, il film è diventato ben presto un fenomeno cult e uno dei maggiori successi commerciali del regista.
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