
Big Night
Big Night
Durata
109
Formato
Regista
Primo (Tony Shalhoub) e Secondo (Stanley Tucci) sono due fratelli, italiani emigrati negli Stati Uniti, che gestiscono un ristorante: nella cornice di una grande cena preparata per un ospite importante, va in scena l'incontro-scontro tra la tradizione e la volontà di scendere a compromessi per aprirsi al nuovo.
Stanley Tucci (co-regista con Campbell Scott) esordisce dietro la macchina da presa con una commedia amara, che racconta da un lato la ricerca di una nuova identità degli emigrati italiani negli States e dall'altro riflette sulle contraddizioni agrodolci dell'American Dream, che come il timballo (piatto forte della cena decisiva) può essere il più delizioso piatto mai mangiato o diventare, se si sbaglia mezzo ingrediente, pericolosamente indigesto. Lo fa con un film che, a dispetto della chiusura degli ambienti in cui si svolge buona parte della narrazione (il ristorante) e la quasi totale aderenza all'unità di luogo, tempo e azione (soprattutto delle ultime due), abbraccia tematiche e vicende di respiro più ampio; seppur con alcuni passaggi narrativi goffi e un po' banali, riesce ugualmente a colpire nel segno. La parte migliore è proprio la cronaca della cena e della sua preparazione, quando non solo tutti i nodi vengono al pettine, ma è il film stesso a cercare di immedesimarsi, con un cambio di ritmo stilistico (i lenti e costanti movimenti di macchina, gli zoom che colgono il particolare culinario, il gioco della profondità), nelle sensazioni e nelle atmosfere del rito della cucina. Al di là dei meriti e demeriti cinematografici (diverse le sequenze avvincenti, che si alternano però a momenti più insipidi), è anche un buon documento su come la cucina sia uno dei primi e più importanti campi di battaglia in cui la comunità emigrata si mette in gioco. Isabella Rossellini è Gabriella.
Stanley Tucci (co-regista con Campbell Scott) esordisce dietro la macchina da presa con una commedia amara, che racconta da un lato la ricerca di una nuova identità degli emigrati italiani negli States e dall'altro riflette sulle contraddizioni agrodolci dell'American Dream, che come il timballo (piatto forte della cena decisiva) può essere il più delizioso piatto mai mangiato o diventare, se si sbaglia mezzo ingrediente, pericolosamente indigesto. Lo fa con un film che, a dispetto della chiusura degli ambienti in cui si svolge buona parte della narrazione (il ristorante) e la quasi totale aderenza all'unità di luogo, tempo e azione (soprattutto delle ultime due), abbraccia tematiche e vicende di respiro più ampio; seppur con alcuni passaggi narrativi goffi e un po' banali, riesce ugualmente a colpire nel segno. La parte migliore è proprio la cronaca della cena e della sua preparazione, quando non solo tutti i nodi vengono al pettine, ma è il film stesso a cercare di immedesimarsi, con un cambio di ritmo stilistico (i lenti e costanti movimenti di macchina, gli zoom che colgono il particolare culinario, il gioco della profondità), nelle sensazioni e nelle atmosfere del rito della cucina. Al di là dei meriti e demeriti cinematografici (diverse le sequenze avvincenti, che si alternano però a momenti più insipidi), è anche un buon documento su come la cucina sia uno dei primi e più importanti campi di battaglia in cui la comunità emigrata si mette in gioco. Isabella Rossellini è Gabriella.