URSS, metà anni Ottanta. A causa di un guasto all'auto, un professore di ateismo scientifico (Leonid Gromov) è costretto a chiedere aiuto a un delirante ex galeotto (Aleksej Serebrjakov). Nella casa di quest'ultimo convergeranno varie figure, disperate e violente, povere e maltrattate.

Con una crudezza a dir poco sorprendente, Aleksej Balabanov firma un'opera di denuncia sul declino del comunismo. I tanti personaggi in campo sono spesso folli e privi di morale, figure che si muovono in un contesto decadente: emblematica, in questo senso, la giovane figlia del PSU locale, seviziata da un sadico capitano di polizia che, mentre la sua nazione è nel caos più totale, può dare vita ai desideri più torbidi, sentendosi giustificato a fare ciò che vuole. Religione e scienza, moralità e immoralità, politica e ignavia: Balabanov, come spesso avviene nel suo cinema, si perde nei tanti discorsi messi in campo e la sua pellicola è più un elenco degli orrori dell'epoca che un lungometraggio coerente e atto a sostenere una tesi specifica. Un duro pugno nello stomaco, che funziona solo in parte, indubbiamente in grado di scuotere ma anche vittima di una sceneggiatura poco coesa. Il titolo fa riferimento al nome degli aerei che trasportavano in patria le salme dei soldati sovietici caduti in Afghanistan.
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1997

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