Dopo l'amore
L'économie du couple
Durata
100
Formato
Regista
Dopo quindici anni di matrimonio, Marie e Boris (Bérénice Bejo e Cédric Kahn) decidono di divorziare. Dal momento che Boris non può permettersi un'altra casa, devono continuare a vivere insieme: una situazione molto complicata perché nessuno dei due è disposto a cedere, dividendosi tra le risorse economiche da gestire e l’educazione delle loro bambine.
Il regista belga Joachim LaFosse costruisce, intorno alla coppia composta da Kahn e dalla Bejo, un efficace mélo sulla crisi delle relazioni contemporanee, tutto giocato su un’asciuttezza di sguardo e di tono che evita con cura i toni enfatici per lavorare sul grigiore del quotidiano e sulle sfumature più dolorose e scomode di un rapporto sentimentale allo stremo. Una scelta espressiva tutt’altro che furbamente minimalista quanto intenzionata, piuttosto, a lavare via gli orpelli e le sovrastrutture, la retorica e le scene madri, la patina convenzionale e urlata di certo cinema borghese e la stereotipia di tante sceneggiature analoghe. Più che collocarsi dopo l’amore, come recita il più didascalico titolo italiano, il film di Lafosse si situa in quel deserto affettivo in cui l’amore è ridotto a corpo morto senza più gravità, costretto a orbitare a ridosso dei bassifondi morali e degli istinti più egoisti e prevaricatori di entrambi i membri della coppia. Di Marie e Boris ci rimangono addosso le scorie private, ma anche il fuori campo di un amore che non vediamo sullo schermo e che pure ci suona, a distanza, come fortissimo, anche se schiacciato sotto il peso del dato oggettivo e della gelida ripicca, pecuniaria e non. Un film pieno di ellissi, di sguardi languidi e sospesi (a volte eccessivi ma comunque necessari) e di un’innegabile vena autoptica, che anche quando preme il pedale sull’acceleratore della commozione non rischia mai di sbandare. E sono diversi i momenti che colpiscono al cuore: la sequenza del ballo di famiglia sulle note di Bella di Maître Gims, una scena dalle conseguenze inaspettate e destabilizzanti, è in tal senso l’apice emotivo del film. Presentato al Festival di Cannes alla Quinzaine des Réalisateurs 2016 e nella sezione Festa Mobile del 34° Torino Film Festival.
Il regista belga Joachim LaFosse costruisce, intorno alla coppia composta da Kahn e dalla Bejo, un efficace mélo sulla crisi delle relazioni contemporanee, tutto giocato su un’asciuttezza di sguardo e di tono che evita con cura i toni enfatici per lavorare sul grigiore del quotidiano e sulle sfumature più dolorose e scomode di un rapporto sentimentale allo stremo. Una scelta espressiva tutt’altro che furbamente minimalista quanto intenzionata, piuttosto, a lavare via gli orpelli e le sovrastrutture, la retorica e le scene madri, la patina convenzionale e urlata di certo cinema borghese e la stereotipia di tante sceneggiature analoghe. Più che collocarsi dopo l’amore, come recita il più didascalico titolo italiano, il film di Lafosse si situa in quel deserto affettivo in cui l’amore è ridotto a corpo morto senza più gravità, costretto a orbitare a ridosso dei bassifondi morali e degli istinti più egoisti e prevaricatori di entrambi i membri della coppia. Di Marie e Boris ci rimangono addosso le scorie private, ma anche il fuori campo di un amore che non vediamo sullo schermo e che pure ci suona, a distanza, come fortissimo, anche se schiacciato sotto il peso del dato oggettivo e della gelida ripicca, pecuniaria e non. Un film pieno di ellissi, di sguardi languidi e sospesi (a volte eccessivi ma comunque necessari) e di un’innegabile vena autoptica, che anche quando preme il pedale sull’acceleratore della commozione non rischia mai di sbandare. E sono diversi i momenti che colpiscono al cuore: la sequenza del ballo di famiglia sulle note di Bella di Maître Gims, una scena dalle conseguenze inaspettate e destabilizzanti, è in tal senso l’apice emotivo del film. Presentato al Festival di Cannes alla Quinzaine des Réalisateurs 2016 e nella sezione Festa Mobile del 34° Torino Film Festival.