La giovane Lilian (Julia Stiles) è ritornata a vivere nel luogo natìo, una comunità di taglialegna. Blackway (Ray Liotta), ex poliziotto, la perseguita e la tallona approfittando del proprio potere su quel luogo ormai privo di coordinate morali, dove vige il rifiuto della compassione e l’esigenza di chiudersi a riccio, isolando la vittima e lasciandola al proprio mesto destino.



Quello di Daniel Alfredson, regista che può vantare nel proprio curriculum gli adattamenti dalla trilogia Millennium dello scrittore svedese Stieg Larsson, è una sorta di western suburbano dagli echi oscuri, nel quale regna un’atmosfera di terrore e un grigiore persistente e allarmante, in gran parte riconducibile a un’esasperante zona d’ombra tra gli Stati Uniti e il Canada. La scrittura insignificante e la regista smunta e amorfa concorrono però a strutturare una messa in scena anonima e dozzinale, che risolve nella maniera più piatta e inconcludente la secchezza e il minimalismo di partenza. Nel film di Alfredson tutto segue coordinate già prestabilite e al ribasso, nel solco di una sciatteria alla quale concorrono anche le svogliatissime interpretazioni di tutti gli interpreti principali, ben al di sotto del livello di guardia. Presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2015.
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