High Maintenance - Vita e opere di Dani Karavan
Dani Karavan
Durata
66
Formato
Regista
Dani Karavan, celebre scultore e architetto israeliano, gira il mondo per verificare o stato di manutenzione delle sue opere, rimanendone profondamente deluso. Inoltre, gli viene comissionato un monumento ai Giusti di Polonia, ossia coloro che durante il secondo conflitto mondiale hanno deciso di salvare gli ebrei in fuga dai nazisti.
«Non voglio essere un eroe della cultura. In guerra dovresti essere un eroe. Nella cultura devi essere anticonformista»: si apre proprio con una citazione dello stesso Dani Karavan il documentario che Barak Heymann ha voluto dedicare all’architetto e scultore israeliano. Sin dalle prime immagini si intuisce il carattere forte e indomito di Karavan, un uomo deciso e poco incline ai compromessi e con un’idea da sempre ben precisa di quale valore dovessero avere le sue opere. Un film che ha come tema centrale quello della memoria, che viene declinata sotto diversi aspetti: che sia il timore di non ricordare più nulla con l’età che avanza – con la macchina da presa che pedina l’artista anche dal medico – o che si tratti della mancanza di cura e manutenzione delle sue sculture, arrivando grazie a questi due elementi al concetto più ampio di Memoria, che richiama le vittime delle guerre, in particolare del secondo conflitto mondiale. Interessante l’idea di seguire Karavan nel percorso attraverso le sue creazioni, dalle quali rimane puntualmente deluso: nessuno ha saputo conservarle come meritavano, rischiando di farne perdere il significato: «Ho più di 70 lavori in tutto il mondo e molti sono in pessimo stato di conservazione». Un fatto che si eleva a simbolo e monito, in quanto opere che rispettano la natura e la coinvolgono in un equilibrio che possa esaltare l’intento politico, che richiede un’attenzione che vada al di là dell’arte, ossia non farne smarrire il senso profondo. Tra i passaggi più significativi, l’incontro e la chiacchierata con Wim Wenders a Berlino, ma comunque incisivi sono i dialoghi con la moglie Hava e la figlia Tamar, dai quali emerge più il lato umano dell’artista, in cui non mancano attimi per cui sorridere. Se si parla di Memoria, è naturalmente centrale il progetto per i Giusti in Polonia, la «flebile luce che ha perseverato nell’oscurità di quella guerra»: una commissione che non ha mancato di generare discussioni e dubbi sulla sua realizzazione. Heymann restituisce il ritratto di un artista deciso, innamorato della natura e delle sue opere, che senza compromessi ha cercato di lanciare messaggi forti attraverso la sua arte.
«Non voglio essere un eroe della cultura. In guerra dovresti essere un eroe. Nella cultura devi essere anticonformista»: si apre proprio con una citazione dello stesso Dani Karavan il documentario che Barak Heymann ha voluto dedicare all’architetto e scultore israeliano. Sin dalle prime immagini si intuisce il carattere forte e indomito di Karavan, un uomo deciso e poco incline ai compromessi e con un’idea da sempre ben precisa di quale valore dovessero avere le sue opere. Un film che ha come tema centrale quello della memoria, che viene declinata sotto diversi aspetti: che sia il timore di non ricordare più nulla con l’età che avanza – con la macchina da presa che pedina l’artista anche dal medico – o che si tratti della mancanza di cura e manutenzione delle sue sculture, arrivando grazie a questi due elementi al concetto più ampio di Memoria, che richiama le vittime delle guerre, in particolare del secondo conflitto mondiale. Interessante l’idea di seguire Karavan nel percorso attraverso le sue creazioni, dalle quali rimane puntualmente deluso: nessuno ha saputo conservarle come meritavano, rischiando di farne perdere il significato: «Ho più di 70 lavori in tutto il mondo e molti sono in pessimo stato di conservazione». Un fatto che si eleva a simbolo e monito, in quanto opere che rispettano la natura e la coinvolgono in un equilibrio che possa esaltare l’intento politico, che richiede un’attenzione che vada al di là dell’arte, ossia non farne smarrire il senso profondo. Tra i passaggi più significativi, l’incontro e la chiacchierata con Wim Wenders a Berlino, ma comunque incisivi sono i dialoghi con la moglie Hava e la figlia Tamar, dai quali emerge più il lato umano dell’artista, in cui non mancano attimi per cui sorridere. Se si parla di Memoria, è naturalmente centrale il progetto per i Giusti in Polonia, la «flebile luce che ha perseverato nell’oscurità di quella guerra»: una commissione che non ha mancato di generare discussioni e dubbi sulla sua realizzazione. Heymann restituisce il ritratto di un artista deciso, innamorato della natura e delle sue opere, che senza compromessi ha cercato di lanciare messaggi forti attraverso la sua arte.