In una prigione dove i detenuti dei piani superiori mangiano meglio di quelli dei piani sottostanti, un uomo si adopera perché le cose cambino e tutti ricevano cibo a sufficienza. 

Il buco, titolo più vicino all’originale spagnolo El Hoyo che alla denominazione anglofona The Platform, è l’esordio alla regia del cineasta iberico Galder Gaztelu-Urrutia: un’opera prima inscrivibile a pieno titolo nel filone dei film distopici, tra i quali questa piramide sociale impietosa e famelica ambisce a ritagliarsi un ruolo ambizioso e di primo piano, riuscendoci però solo in parte. La messa in scena, in bilico tra il thriller dichiarato e l’incubo ad alto tasso di tensione e reclusione carceraria, regala più di uno slancio di partenza sul piano pittorico, ma a dettare l’agenda del film, sul piano dei risvolti metaforici e politici - in verità piuttosto annacquati e già visti - è soprattutto la collocazione verticale delle celle. In ciascuna sono presenti non più di due persone e ognuna di esse può arrogarsi il diritto di tenere qualcosa per sé (il protagonista sceglie ad esempio una copia del Don Chisciotte di Cervantes), con tanto di rotazione a cadenza mensile sempre pronta a rimescolare livelli e collocazioni. Le vettovaglie da consumare entro un paio di minuti, presentate come il miraggio di un mondo lontano segnato da un’abbondanza ormai sparita e dunque estremamente tentatrice, dovrebbero produrre un’equa spartizione delle risorse alimentari, ma la realtà sordida e sotterranea immaginata da Il buco è giocoforza ben più predatoria delle apparenze, tra prevaricazioni di vario genere e abitanti dei piani alti pronti a fare razzia di ciò che spetterebbe ai loro sottoposti. Il gioco dimostra di valere la candela almeno per una buona metà della narrazione, che poi smarrisce una dose non indifferente di efficacia e sorpresa, smarrendosi tra derive numerologiche, esiti grossolani e chiavi di lettura più vicine allo sberleffo sensazionalistico e a effetto che alla compattezza amorale di un universo rovesciato. L’insieme della costruzione visiva e narrativa, schiacciata da celebri modelli come Cube - Il cubo (1997) e Snowpiercer (2013), col passare dei minuti palesa così inevitabilmente tutta la sua natura essenzialmente derivativa. Vincitore del Goya ai migliori effetti speciali. Presentato al Torino Film Festival 2019 e disponibile su Netflix dal marzo 2020.
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