Il Nibbio
Durata
108
Formato
Regista
2005. La giornalista italiana Giuliana Sgrena (Sonia Bergamasco), penna di punta de “Il Manifesto”, viene rapita in Iraq da una cellula terroristica. Viene trattenuta per 28 giorni, periodo di tempo in cui Nicola Calipari (Claudio Santamaria), alto dirigente del SISMI (Servizio per le informazioni e la sicurezza militare) si fa carico della missione per liberarla. Ed è così che, tra difficili trattative con i sequestratori, tensioni diplomatiche e il pericolo costante dell’operazione, vengono mostrati sprazzi della vita personale del dirigente: la relazione stabile con la moglie, il rapporto a volte conflittuale con i figli e la difficoltà nel calibrare lavoro e famiglia. Fino al culmine. Il 4 marzo 2005 Calipari riesce a liberare la giornalista ma, durante il viaggio verso l'aeroporto di Baghdad, l'auto su cui viaggiano viene colpita da colpi di arma da fuoco sparati erroneamente da soldati americani a un posto di blocco. Calipari si getta così eroicamente sulla giornalista per proteggerla, sacrificando la propria vita.
Un thriller politico, che ricostruisce con tensione e drammaticità gli ultimi giorni di Nicola Calipari con un taglio realistico e un’attenzione particolare alla ricostruzione storica. La regia di Alessandro Tonda è asciutta e funzionale, evitando eccessi estetici, per privilegiare una messa in scena sobria e immersiva. L’uso della macchina da presa è spesso dinamico, con inquadrature strette che aumentano la tensione e danno un senso di costante pericolo. Tonda sfrutta sapientemente la profondità di campo per isolare i personaggi nei momenti chiave e sottolineare la loro vulnerabilità. La fotografia gioca un ruolo chiave nel creare l’atmosfera del film: la tavolozza cromatica è dominata da toni spenti, con prevalenza di grigi e beige che restituiscono il clima polveroso e opprimente di Baghdad. Il montaggio alterna sequenze rapide, che enfatizzano la tensione della missione, a momenti più dilatati, che permettono di approfondire il lato umano della storia. L’alternanza di primi piani e campi lunghi è ben bilanciata, anche se in alcuni momenti il ritmo tende a rallentare eccessivamente. Dal punto di vista della sceneggiatura, il film adotta una struttura lineare: la scrittura è solida, anche se in alcuni passaggi il film tende a spiegare troppo attraverso dialoghi inutilmente didascalici. La caratterizzazione di Calipari è comunque ben costruita: il film cerca di andare oltre la figura istituzionale per mostrarci un uomo diviso tra dovere, lealtà e affetti personali. Claudio Santamaria offre un’interpretazione convincente, mantenendo un registro misurato che evita ogni retorica. La sua performance trasmette il senso di responsabilità e il peso morale della missione. Tuttavia, alcuni personaggi secondari (tra cui la stessa Giuliana Sgrena e i membri del SISMI) risultano meno incisivi, con interpretazioni che, in alcuni casi, sfiorano la rigidità. Dal punto di vista tematico, il film ha il merito di far emergere interrogativi importanti sul ruolo dei servizi segreti, sulle ambiguità della politica internazionale e sulla gestione delle crisi umanitarie. È però da segnalare un piccolo limite: la mancanza di una vera analisi critica del contesto politico. La vicenda è raccontata con grande rispetto per Calipari, ma il film evita di approfondire questioni più complesse, come le responsabilità degli Stati Uniti nell’accaduto o le dinamiche più oscure della diplomazia italiana. Questo approccio, se da un lato preserva la dignità del protagonista, dall’altro rischia di rendere il film meno incisivo dal punto di vista investigativo.
Un thriller politico, che ricostruisce con tensione e drammaticità gli ultimi giorni di Nicola Calipari con un taglio realistico e un’attenzione particolare alla ricostruzione storica. La regia di Alessandro Tonda è asciutta e funzionale, evitando eccessi estetici, per privilegiare una messa in scena sobria e immersiva. L’uso della macchina da presa è spesso dinamico, con inquadrature strette che aumentano la tensione e danno un senso di costante pericolo. Tonda sfrutta sapientemente la profondità di campo per isolare i personaggi nei momenti chiave e sottolineare la loro vulnerabilità. La fotografia gioca un ruolo chiave nel creare l’atmosfera del film: la tavolozza cromatica è dominata da toni spenti, con prevalenza di grigi e beige che restituiscono il clima polveroso e opprimente di Baghdad. Il montaggio alterna sequenze rapide, che enfatizzano la tensione della missione, a momenti più dilatati, che permettono di approfondire il lato umano della storia. L’alternanza di primi piani e campi lunghi è ben bilanciata, anche se in alcuni momenti il ritmo tende a rallentare eccessivamente. Dal punto di vista della sceneggiatura, il film adotta una struttura lineare: la scrittura è solida, anche se in alcuni passaggi il film tende a spiegare troppo attraverso dialoghi inutilmente didascalici. La caratterizzazione di Calipari è comunque ben costruita: il film cerca di andare oltre la figura istituzionale per mostrarci un uomo diviso tra dovere, lealtà e affetti personali. Claudio Santamaria offre un’interpretazione convincente, mantenendo un registro misurato che evita ogni retorica. La sua performance trasmette il senso di responsabilità e il peso morale della missione. Tuttavia, alcuni personaggi secondari (tra cui la stessa Giuliana Sgrena e i membri del SISMI) risultano meno incisivi, con interpretazioni che, in alcuni casi, sfiorano la rigidità. Dal punto di vista tematico, il film ha il merito di far emergere interrogativi importanti sul ruolo dei servizi segreti, sulle ambiguità della politica internazionale e sulla gestione delle crisi umanitarie. È però da segnalare un piccolo limite: la mancanza di una vera analisi critica del contesto politico. La vicenda è raccontata con grande rispetto per Calipari, ma il film evita di approfondire questioni più complesse, come le responsabilità degli Stati Uniti nell’accaduto o le dinamiche più oscure della diplomazia italiana. Questo approccio, se da un lato preserva la dignità del protagonista, dall’altro rischia di rendere il film meno incisivo dal punto di vista investigativo.