Jellyfish
Jellyfish
Durata
101
Formato
Regista
Nella piccola cittadina di Margate, in Inghilterra, la quindicenne Sarah Taylor è costretta a lavorare per dare da mangiare ai suoi due fratellini Lucy e Marcus e alla madre Karen, la quale, a causa di problemi mentali risulta essere un peso per la famiglia. La scoperta della sua predisposizione naturale per la comicità apre però nuove prospettive.
Jellyfish, primo lungometraggio dell’inglese James Gardner, è la parabola di una giovane ragazza la quale si scontra costantemente con la dura realtà della sua situazione familiare e che, nel disperato tentativo di evasione, incontra un altro muro ancor più grande, la piccola cittadina marinara di Margate. È qui che entra in gioco l’idea fondante dell’intera pellicola: l’astuta e tagliente lingua della giovane protagonista, utilizzata come scudo contro le ingiustizie che la circondano, dovrebbe essere reindirizzata nel suo spettacolo di stand-up comedy da mostrare nello show scolastico di fine anno. Al netto dei toni molto più cupi e angosciosi, la struttura, e i problemi intrinseci che ne derivano, è quella di uno dei tanti film di formazione (americani e non). Lo sviluppo sembra quindi essere un semplice accumulo di scene che ribadiscono in maniera continua ed esasperante la tragica situazione in cui versa la protagonista, non aggiungendo nulla di nuovo alla situazione di partenza. Non basta quindi un finale originale nei modi, sprezzante, tragico ed efficace, per allontanare lo spettatore dalla sensazione che tutto ciò che è stato precedentemente mostrato esistesse solo ed esclusivamente in funzione di questo momento, giustamente considerato momento essenziale dell’intera pellicola, ma non supportato a dovere da un intreccio piatto e prevedibile. L’esordio del giovane regista inglese rimane sicuramente da segnalare per l’originale e accattivante high concept dell’opera, la quale però si accontenta di esser messo in scena in maniera eccessivamente classica: l’ibrido non funziona del tutto.
Jellyfish, primo lungometraggio dell’inglese James Gardner, è la parabola di una giovane ragazza la quale si scontra costantemente con la dura realtà della sua situazione familiare e che, nel disperato tentativo di evasione, incontra un altro muro ancor più grande, la piccola cittadina marinara di Margate. È qui che entra in gioco l’idea fondante dell’intera pellicola: l’astuta e tagliente lingua della giovane protagonista, utilizzata come scudo contro le ingiustizie che la circondano, dovrebbe essere reindirizzata nel suo spettacolo di stand-up comedy da mostrare nello show scolastico di fine anno. Al netto dei toni molto più cupi e angosciosi, la struttura, e i problemi intrinseci che ne derivano, è quella di uno dei tanti film di formazione (americani e non). Lo sviluppo sembra quindi essere un semplice accumulo di scene che ribadiscono in maniera continua ed esasperante la tragica situazione in cui versa la protagonista, non aggiungendo nulla di nuovo alla situazione di partenza. Non basta quindi un finale originale nei modi, sprezzante, tragico ed efficace, per allontanare lo spettatore dalla sensazione che tutto ciò che è stato precedentemente mostrato esistesse solo ed esclusivamente in funzione di questo momento, giustamente considerato momento essenziale dell’intera pellicola, ma non supportato a dovere da un intreccio piatto e prevedibile. L’esordio del giovane regista inglese rimane sicuramente da segnalare per l’originale e accattivante high concept dell’opera, la quale però si accontenta di esser messo in scena in maniera eccessivamente classica: l’ibrido non funziona del tutto.