Julien Donkey-Boy
Julien Donkey-Boy
Durata
94
Formato
Regista
Julien (Ewen Bremner) è un ragazzo con gravi turbe psichiche che lavora in una scuola per non vedenti. La sua vita è segnata dalla violenza incontrollabile che si porta dentro e da una famiglia che fatica a capire i suoi bisogni: il padre autoritario (Werner Herzog), la sorella incinta (Chloë Sevigny) e il fratello atleta (Evan Neumann).
Harmony Korine, alla sua opera seconda dopo Gummo (1997), torna a mettere in scena un'America dannata, costellata di personaggi assurdi e situazioni difficili da accettare. Privo di una vera e propria linearità narrativa, il film mostra “di traverso” la quotidianità di tutti i giorni: la famiglia, il lavoro, i rapporti genitori-figli, sono rappresentati in maniera grottesca e paradossale. Grazie anche a un notevole apparato visivo, volutamente confuso così da rappresentare al meglio la condizione mentale del protagonista, è un lungometraggio capace di rimanere a lungo impresso nella memoria: le ferite che lascia sono profonde e le sequenze da ricordare molteplici. Senza dubbio è un film crudele e stilisticamente impulsivo, ma anche pregno di una mistica sacralità, che graffia ancora di più grazie ai toni ruvidi e velenosi utilizzati. È la prima pellicola americana appartenente al movimento “Dogma 95”, pubblicato dai registi danesi Lars von Trier e Thomas Vinterberg: solo luci naturali, nessuna scenografia, camera a mano e totale assenza di colonna sonora. Come vuole il manifesto, il nome di Harmony Korine non rientra nei credits del (suo) film.
Harmony Korine, alla sua opera seconda dopo Gummo (1997), torna a mettere in scena un'America dannata, costellata di personaggi assurdi e situazioni difficili da accettare. Privo di una vera e propria linearità narrativa, il film mostra “di traverso” la quotidianità di tutti i giorni: la famiglia, il lavoro, i rapporti genitori-figli, sono rappresentati in maniera grottesca e paradossale. Grazie anche a un notevole apparato visivo, volutamente confuso così da rappresentare al meglio la condizione mentale del protagonista, è un lungometraggio capace di rimanere a lungo impresso nella memoria: le ferite che lascia sono profonde e le sequenze da ricordare molteplici. Senza dubbio è un film crudele e stilisticamente impulsivo, ma anche pregno di una mistica sacralità, che graffia ancora di più grazie ai toni ruvidi e velenosi utilizzati. È la prima pellicola americana appartenente al movimento “Dogma 95”, pubblicato dai registi danesi Lars von Trier e Thomas Vinterberg: solo luci naturali, nessuna scenografia, camera a mano e totale assenza di colonna sonora. Come vuole il manifesto, il nome di Harmony Korine non rientra nei credits del (suo) film.