Negli anni Novanta, in una provincia del Nord Italia sospesa tra ipocrisia e disincanto, tre bambine attraversano l’estate tra giochi, segreti e prime consapevolezze. Attorno a loro si muove un mondo adulto distratto, attraversato da silenzi, incomprensioni e piccoli riti quotidiani che scandiscono il tempo della crescita.

Dopo il riuscito La timidezza delle chiome (2022), Valentina Bertani giunge pienamente al cinema di finzione con Le bambine, diretto insieme alla sorella Nicole. Presentato in concorso come unico film italiano al Festival di Locarno 2025, il film si impone per la sua potenza sensoriale e per la capacità di far emergere, dietro la quiete apparente dell’infanzia, un magma di emozioni e tensioni latenti. Lo stile delle sorelle Bertani è tutto fuorché sobrio: è eclettico, travolgente, elettrizzante, seppur in qualche sequenza centrale possa apparire troppo costruito. In realtà ogni inquadratura vibra di un’energia propria, ogni movimento di macchina diventa un gesto emotivo, una frattura visiva. La loro regia è un’esperienza corporea e sensoriale, fatta di luce che pulsa, di suoni che si insinuano, di corpi che vivono dentro lo spazio. È un cinema che non osserva da lontano, ma entra, assorbe, e restituisce allo spettatore un universo interiore incandescente. Le Bertani non giudicano, ma accolgono, lasciano che il mondo delle bambine e quello degli adulti si tocchino, si sfiorino, si confondano, generando un continuo cortocircuito tra innocenza e consapevolezza. Una dark comedy con le ginocchia sbucciate e i lividi sul cuore, dove la leggerezza dell’infanzia si intreccia con la ferocia delle scoperte e delle delusioni. Lo sguardo infantile diventa così una lente deformante attraverso cui leggere la realtà: un filtro di poesia e dolore, di curiosità e perdita. Sul piano visivo emerge una sensibilità estetica prorompente, che dialoga con certo cinema indipendente americano – da Harmony Korine in poi – ma anche con l’immaginario pop e musicale degli anni ’90. Le bambine è un esordio prezioso, che racconta di emozioni che passano dagli occhi più che dalle parole: è uno di quei film rari che ti attraversano piano, ma ti restano dentro come un respiro trattenuto. E ricorda, con una grazia furiosa, che crescere significa imparare a guardare di nuovo.

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