L'età barbarica
L'âge des ténèbres
Durata
104
Formato
Regista
Jean-Marc Leblanc (Marc Labrèche) è un funzionario canadese dell'Ufficio reclami. Oltre alla vita lavorativa, che non va certo per il meglio, anche quella personale è decisamente frustrante, visto che in famiglia tutti pongono un velo di distanza nei suoi confronti e di fatto provvedono ad ignorarlo in ogni circostanza. Non gli resta che fantasticare una vita perfetta, piena di successi e di gratificazioni personali.
Terza opera della trilogia a tematiche esistenziali firmata Denys Arcand, iniziata nel 1986 con Il declino dell'impero americano e proseguita nel 2003 con Le invasioni barbariche. Si tratta di un film spiazzante, ma ben costruito, dove una prima parte squisitamente surreale lascia il posto a una seconda più rassicurante e composta. Eppure la combinazione di tali contrasti non genera sgomento, perché i tratti più grotteschi aiutano a stemperare il clima di angoscia; e l'apertura luminosa che si staglia sul finale, per quanto banale, assomiglia quasi a una zona franca. Un film sfacciatamente sincero, dunque, nel raccontare il disagio dell'uomo moderno e la sua ricerca di autonomia, raccontata di pari passo con la materializzazione delle fantasie sessuali. Questa padronanza registica, spesso cinica e sprezzante, alla lunga si tramuta però in debolezza: alcune scene possono sembrare, e di fatto sono, gratuite e prive di senso e tale visione unidirezionale delle cose del mondo allontana il pubblico da ogni forma di empatia. In questa direzione vanno anche la didascalica messa in scena della vita del protagonista e l'ironia insistita, che va di pari passo con un'insopportabile verbosità.
Terza opera della trilogia a tematiche esistenziali firmata Denys Arcand, iniziata nel 1986 con Il declino dell'impero americano e proseguita nel 2003 con Le invasioni barbariche. Si tratta di un film spiazzante, ma ben costruito, dove una prima parte squisitamente surreale lascia il posto a una seconda più rassicurante e composta. Eppure la combinazione di tali contrasti non genera sgomento, perché i tratti più grotteschi aiutano a stemperare il clima di angoscia; e l'apertura luminosa che si staglia sul finale, per quanto banale, assomiglia quasi a una zona franca. Un film sfacciatamente sincero, dunque, nel raccontare il disagio dell'uomo moderno e la sua ricerca di autonomia, raccontata di pari passo con la materializzazione delle fantasie sessuali. Questa padronanza registica, spesso cinica e sprezzante, alla lunga si tramuta però in debolezza: alcune scene possono sembrare, e di fatto sono, gratuite e prive di senso e tale visione unidirezionale delle cose del mondo allontana il pubblico da ogni forma di empatia. In questa direzione vanno anche la didascalica messa in scena della vita del protagonista e l'ironia insistita, che va di pari passo con un'insopportabile verbosità.