The Second Act
Le deuxième acte
Durata
80
Formato
Regista
Florence (Léa Seydoux) vuole far conoscere David (Louis Garrel), il ragazzo di cui è follemente innamorata, a suo padre Guillaume (Vincent Lindon). David, però, non è sufficientemente attratto da Florence e vorrebbe portarla tra le braccia del suo amico Willy (Raphaël Quenard). I quattro si troveranno tutti insieme in un ristorante, nel bel mezzo del nulla.
Bastano i titoli di testa di The Second Act per ritrovare la classica ironia di Dupieux, regista francese – noto anche con lo pseudonimo di Mr. Oizo, utilizzato per la sua carriera musicale – che torna a ragionare in maniera particolarmente esplicita sul rapporto tra realtà e finzione (già trattato, tra gli altri, in Reality del 2014) per dare vita a una meta-commedia in cui i personaggi si ritrovano in una sorta di gioco di scatole cinesi, composto da varie narrazioni in cui è facile perdersi anche per lo spettatore. Aperto da un incipit suggestivo e da due piani-sequenza notevolissimi, il film però si sgonfia troppo col passare dei minuti, a causa di numerose ridondanze e troppe prolissità, nonostante la durata sia inferiore all’ora e mezza complessiva. Come in Yannick (2023), la struttura drammaturgica che porta a una possibile deflagrazione compiuta da un outsider coinvolge, ma una volta che le carte si scoprono non c’è più molto di interessante da segnalare. Anche il tema dell’intelligenza artificiale – forma produttiva di questo bizzarro “film nel film” – è sviluppato in maniera altalenante, tra un paio di spunti brillanti e altre riflessioni decisamente più superficiali. Rimane l’ottima prova del cast e alcune idee pienamente azzeccate in questo lungometraggio che avrebbe però potuto e dovuto essere ben più incisivo. Scelto come film d’apertura, fuori concorso, della 77esima edizione del Festival di Cannes.
Bastano i titoli di testa di The Second Act per ritrovare la classica ironia di Dupieux, regista francese – noto anche con lo pseudonimo di Mr. Oizo, utilizzato per la sua carriera musicale – che torna a ragionare in maniera particolarmente esplicita sul rapporto tra realtà e finzione (già trattato, tra gli altri, in Reality del 2014) per dare vita a una meta-commedia in cui i personaggi si ritrovano in una sorta di gioco di scatole cinesi, composto da varie narrazioni in cui è facile perdersi anche per lo spettatore. Aperto da un incipit suggestivo e da due piani-sequenza notevolissimi, il film però si sgonfia troppo col passare dei minuti, a causa di numerose ridondanze e troppe prolissità, nonostante la durata sia inferiore all’ora e mezza complessiva. Come in Yannick (2023), la struttura drammaturgica che porta a una possibile deflagrazione compiuta da un outsider coinvolge, ma una volta che le carte si scoprono non c’è più molto di interessante da segnalare. Anche il tema dell’intelligenza artificiale – forma produttiva di questo bizzarro “film nel film” – è sviluppato in maniera altalenante, tra un paio di spunti brillanti e altre riflessioni decisamente più superficiali. Rimane l’ottima prova del cast e alcune idee pienamente azzeccate in questo lungometraggio che avrebbe però potuto e dovuto essere ben più incisivo. Scelto come film d’apertura, fuori concorso, della 77esima edizione del Festival di Cannes.