The Look of Silence

The Look of Silence

Durata

99

Formato

Ciò che è accaduto in Indonesia a seguito degli eventi del 1965 ha del terrificante: l'esercito che prese il potere dopo aver fatto fuori il governo regolare massacrò tutti gli avversari accusandoli di comunismo. Il fratello di una delle innumerevoli vittime cerca anni dopo di comprendere gli eventi, filmando i responsabili di quei misfatti e tentando di intervistarli.

Il cerchio non era ancora chiuso, nella mente di Joshua Oppenheimer. Così, dopo il successo planetario di The Act of Killing (2012), il regista, anziché distanziarsi dall'incandescente materia del film precedente, ha voluto tornare sul luogo del delitto, reimmergendosi in quella melma e in tutto ciò che essa avrebbe comportato. Il suo istinto e i suoi bisogni umani, ancor prima che artistici, lo hanno portato a pensare che non tutto fosse stato detto e raccontato nel primo documentario, e che occorreva pertanto soffermarsi ancora, continuare a scavare. E The Look of Silence è, del suo predecessore, una sorta di controcampo familiare e intimista, che non ha timore della commozione e del dolore, espressi in forma non mediata e personale, riversandoli frontalmente sullo spettatore, insieme all'inevitabile sentimento di disprezzo nei confronti degli aguzzini. Il fratello di una vittima dell'esercito, che Oppenheimer usa come filtro e come tramite diretto del suo stesso sguardo, è una figura fragile ma attenta, unico baluardo d'umanità e integrità in un contesto in cui l'indifferenza e la codardia hanno preso il sopravvento su tutto e tutti, generando ovunque una spirale di reticenza e timore. Oppenheimer non è un illuminista o un attivista in senso tradizionale, ma è un osservatore, un antropologo radicale: come tale non giudica, mostra e riflette sulla politica ma anche sull'etica insita nell'atto di posizionare una macchina da presa in uno spazio e in un luogo ben preciso. Il disegno complessivo non è però dinamitardo come quello del film precedente, con qualche esitazione di troppo che non avremmo trovato in un documentario di Werner Herzog o Errol Morris (tra l'altro produttori di entrambi i lungometraggi), e il ritmo è smorzato dagli intermezzi che vedono protagonista una tv ma anche una materia narrativa nota a chi ha visto il primo documentario. Si tratta comunque di cinema civile di livello morale altissimo, necessario al mondo contemporaneo come l'aria che respiriamo. Premio speciale della giuria alla Mostra di Venezia 2014.
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dal 03 luglio

The End
2024

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