Mad God
Mad God
Durata
83
Formato
Regista
In un mondo popolato di mostri, scienziati pazzi e maiali da guerra, una campana subacquea corrosa fa la sua comparsa in una città in rovina. Dal suo interno, fuoriesce l’Assassino, arrivato per esplorare quel labirinto di paesaggi bizzarri popolato di personaggi altrettanto strambi...
Spietata allegoria dell’epoca contemporanea, o terrificante previsione di un futuro post-umanesimo? Distopica rielaborazione del mito dell’eterno ritorno, o puro viaggio allucinante e allucinatorio atto semplicemente a spingere sempre più in là, scena dopo scena, il limite delle possibilità immaginifiche e orrorose dell’animazione? Mad God è tutto questo insieme. Sviscerare (termine decisamente polivalente dato il contesto del film) tutta la simbologia presente, dai riferimenti biblici a quelli esoterici, passando per citazioni dall’epoca classica alla moderna cinematografia, non pare fattibile (ammesso e non concesso che possa essere un’operazione utile). L’invito del regista, più che a comprenderlo, è a perdersi nel suo incubo scatologico ed esistenziale, tra i labirinti di una scenografia miasmatica e dettagliatissima. Non c’è spazio per alcuna positività in questo delirio in cui la narrazione si fa da parte per lasciare libero il flusso di immagini girate da Tippett nell’arco di trentatré anni. Una visione che è un costante pugno allo stomaco e che può persino ripugnare, ma assolutamente non lasciare indifferenti.
Spietata allegoria dell’epoca contemporanea, o terrificante previsione di un futuro post-umanesimo? Distopica rielaborazione del mito dell’eterno ritorno, o puro viaggio allucinante e allucinatorio atto semplicemente a spingere sempre più in là, scena dopo scena, il limite delle possibilità immaginifiche e orrorose dell’animazione? Mad God è tutto questo insieme. Sviscerare (termine decisamente polivalente dato il contesto del film) tutta la simbologia presente, dai riferimenti biblici a quelli esoterici, passando per citazioni dall’epoca classica alla moderna cinematografia, non pare fattibile (ammesso e non concesso che possa essere un’operazione utile). L’invito del regista, più che a comprenderlo, è a perdersi nel suo incubo scatologico ed esistenziale, tra i labirinti di una scenografia miasmatica e dettagliatissima. Non c’è spazio per alcuna positività in questo delirio in cui la narrazione si fa da parte per lasciare libero il flusso di immagini girate da Tippett nell’arco di trentatré anni. Una visione che è un costante pugno allo stomaco e che può persino ripugnare, ma assolutamente non lasciare indifferenti.