Afghanistan. Un soldato in fuga (Armie Hammer) poggia inavvertitamente un piede su una mina antiuomo. Con il rischio di saltare in aria, come un suo compagno prima di lui, non può muoversi: i soccorsi sono lontani due giorni e due notti, l’acqua è quasi finita e sopravvivere sembra una missione impossibile.

Esordio al lungometraggio di due registi italiani, Fabio Guaglione (classe 1981) e Fabio Resinaro (classe 1980), che si sono fatti conoscere grazie al corto Afterville (2008) e sono stati finanziati per questa opera prima dall’inglese Peter Safran, già produttore di Buried – Sepolto (2010). Ed è proprio con il film di Rodrigo Cortés che Mine ha diverse cose in comune: lì un uomo che si risvegliava in una bara, qui un soldato che non può muoversi. Spunto indubbiamente suggestivo: la prima parte regge bene, la tensione si mantiene alta e il montaggio appare funzionale. Peccato però che la lunghezza eccessiva renda il tutto ridondante e prolisso, facendo perdere buona parte della forza delle battute iniziali. Incisive, in ogni caso, le sequenze notturne, mentre sono spesso forzati i flashback che ci raccontano il passato del protagonista, un uomo che la vita aveva già messo in ginocchio prima che arrivasse in Afghanistan. Ne risulta un esordio indubbiamente interessante e inusuale ma, con alcuni accorgimenti narrativi e qualche taglio in più, l'esito sarebbe stato ancor più felice.
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