Manuel López-Vidal (Antonio de La Torre), un influente vicesegretario regionale prossimo al salto verso la politica nazionale, vede la sua vita perfetta andare in pezzi in seguito alle notizie trapelate circa il suo coinvolgimento in un giro di corruzione. Mentre i media cominciano a delineare l'entità dello scandalo, il partito gli volta le spalle.

Interessante racconto politico graziato dall’ottima prova del protagonista, Il regno convince, almeno in parte, per lo spessore dialettico che mette in campo e per il ragionamento, mediale e ad ampio raggio, che intavola sulla comunicazione pubblica e sui suoi rappresentanti. La scrittura è complessivamente efficace, fatta eccezione per diverse cadute di tono percepibili sulla distanza, e il meccanismo anti-empatico che la sceneggiatura e la regia riescono a suggerire dà corpo e peso alle non poche sfumature morali della storia. Di tanto in tanto, tuttavia, fa capolino a chiare lettere il sentore della meccanicità, anche se l’inciampare nel didascalismo non depotenzia del tutto chiaroscuri e spunti di riflessione non da poco, perfettamente scorgibili sotto la sua superficie del disegno d’insieme, a dir poco attuale nell’intercettare storture e semplificazioni imperdonabili della politica odierna e delle sue applicazioni. Vincitore di sette premi Goya nel 2019 e presentato in concorso al Torino Film Festival. 

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