Mon oncle Antoine
Mon oncle Antoine
Durata
104
Formato
Regista
Una cittadina del Québec, cui economia è basata sull’estrazione dell’amianto, vede il proprio centro di socialità nel negozio di Antoine (Jean Duceppe), che gestisce anche un’impresa funebre locale. Suo nipote Benoît (Jacques Gagnon) è testimone di una serie di tragiche disavventure durante le vacanze di Natale.
Un isolamento tutt’altro che romantico e un’atmosfera densa e cupa: già dall’ambientazione il film si vuole presentare come un’anti-fiaba natalizia, in cui i buoni sentimenti e il senso di unità comunitario vengono sostituiti da volontà di fuga e da un retrogusto morboso mai assente. Anche la prospettiva che parta dal protagonista è lontana da uno sguardo adolescenziale pieno di speranza e meraviglia, e Benoît è ormai già abituato a vivere circondato da adulti disillusi e disinibiti, pieni di vizi ben poco nascosti. Eppure l’umanità raccontata da Jutra è complessa e realistica, e per questo anche dolente, e la scrittura non propone mai macchiette facili da digerire. Non a caso il regista, anche collaboratore di Jean Rouch, fu tra i protagonisti dello sviluppo del cinéma-vérité in Canada: Jutra riesce a cogliere con precisione l’umanità sofferente che davanti alla sua macchina da presa vive e resiste. Film amatissimo in patria (nonostante il regista venne comprensibilmente disconosciuto post-mortem in seguito a scandali di abusi che lo coinvolgevano) e a buona ragione: la pellicola riesce a divertire di gusto per poi far sprofondare in un senso di turbamento che non si riesce a scrollare di dosso troppo facilmente. Il ritmo è un po' altalenante e non tutte le sequenze sono incisive al punto giusto, ma i pregi superano i difetti, anche grazie alla bella fotografia, firmata da un altro importante cineasta quebecchese, Michel Brault.
Un isolamento tutt’altro che romantico e un’atmosfera densa e cupa: già dall’ambientazione il film si vuole presentare come un’anti-fiaba natalizia, in cui i buoni sentimenti e il senso di unità comunitario vengono sostituiti da volontà di fuga e da un retrogusto morboso mai assente. Anche la prospettiva che parta dal protagonista è lontana da uno sguardo adolescenziale pieno di speranza e meraviglia, e Benoît è ormai già abituato a vivere circondato da adulti disillusi e disinibiti, pieni di vizi ben poco nascosti. Eppure l’umanità raccontata da Jutra è complessa e realistica, e per questo anche dolente, e la scrittura non propone mai macchiette facili da digerire. Non a caso il regista, anche collaboratore di Jean Rouch, fu tra i protagonisti dello sviluppo del cinéma-vérité in Canada: Jutra riesce a cogliere con precisione l’umanità sofferente che davanti alla sua macchina da presa vive e resiste. Film amatissimo in patria (nonostante il regista venne comprensibilmente disconosciuto post-mortem in seguito a scandali di abusi che lo coinvolgevano) e a buona ragione: la pellicola riesce a divertire di gusto per poi far sprofondare in un senso di turbamento che non si riesce a scrollare di dosso troppo facilmente. Il ritmo è un po' altalenante e non tutte le sequenze sono incisive al punto giusto, ma i pregi superano i difetti, anche grazie alla bella fotografia, firmata da un altro importante cineasta quebecchese, Michel Brault.