Mufasa – Il re leone
Mufasa: The Lion King
Durata
120
Formato
Regista
Mufasa, un cucciolo orfano, perso e solo, incontra un leone comprensivo di nome Taka, erede di una stirpe reale. L'incontro casuale dà il via al viaggio di uno straordinario gruppo di sventurati alla ricerca del proprio destino: i loro legami saranno messi alla prova mentre lavorano insieme per sfuggire a un nemico minaccioso e letale.
Dopo la parentesi nella serialità con La ferrovia sotterranea, il regista premio Oscar Barry Jenkins ritorna a dirigere un lungometraggio, a distanza di sei anni dal suo ultimo lavoro Se la strada potesse parlare. Questa volta l'autore di Moonlight abbandona i soggetti e le ambientazioni a lui più cari per dedicarsi a qualcosa di profondamente diverso e inaspettato: un sequel (che funziona però come prequel attraverso il ricorso alla tecnica del flashback) della saga del Re Leone. Mufasa - Il re Leone, infatti, prosegue idealmente il cammino intrapreso dalla Disney con il remake in live action diretto da John Favreau del celeberrimo film d’animazione del 1994. Un’operazione di restyling fortemente contemporanea che si appoggia su un imponente utilizzo della CGI che, anche a questo giro, non lascia certamente indifferenti. L’imprinting visivo è maestoso e il realismo con cui sono rappresentati gli animali protagonisti del racconto lascia senza parole. Di contro, ciò che manca maggiormente è la dimensione originaria del mito, della leggenda di un racconto per immagini che non riesce più ad avere la stessa magniloquenza dell’antesignano film d’animazione. Certo, non mancano i riferimenti al passato (rievocato continuamente tramite i già citati flashback), al valore e all’importanza del “passaggio di consegne” tra generazioni, oltre ad una tutt’altro che banale riflessione sul concetto del sogno, rappresentato nel film dalla “terra promessa” di Milene, un ipotetico paradiso terrestre “al di là della luce” in cui gli animali della foresta possono vivere in pace e armonia, gli uni con gli altri. In questo senso, Jenkins intreccia i fili della propria poetica cinematografica, dove il sogno e l’utopia sono i due cardini della riflessione storica e politica sull’epopea afroamericana (basti pensare alla magia e al fascino esercitato dall’ucronia de La ferrovia sotterranea o l’utopia romantica che avvolge, nel vero senso della parola, i due personaggi protagonisti di Se la strada potesse parlare). Questi interessanti spunti di connessione e riflessione non sono però supportati da una sceneggiatura all’altezza delle premesse. Il film cala notevolmente nella fase centrale, faticando a riprendersi fino al discreto epilogo del racconto. Nella versione originale spicca il contributo di Mads Mikkelsen che interpreta il terribile Kiros. Nella versione italiana, invece, tra le note più liete troviamo la voce di Luca Marinelli che rimpiazza Aaron Pierre donando la propria inconfondibile voce a Mufasa. Meno convincenti le performance di Marco Mengoni, nei panni di Simba, e di Elodie, in quelli di Sarabi. Il film si apre con un sentito omaggio a James Earl Jones, voce storica di Mufasa nei precedenti capitoli della saga.
Dopo la parentesi nella serialità con La ferrovia sotterranea, il regista premio Oscar Barry Jenkins ritorna a dirigere un lungometraggio, a distanza di sei anni dal suo ultimo lavoro Se la strada potesse parlare. Questa volta l'autore di Moonlight abbandona i soggetti e le ambientazioni a lui più cari per dedicarsi a qualcosa di profondamente diverso e inaspettato: un sequel (che funziona però come prequel attraverso il ricorso alla tecnica del flashback) della saga del Re Leone. Mufasa - Il re Leone, infatti, prosegue idealmente il cammino intrapreso dalla Disney con il remake in live action diretto da John Favreau del celeberrimo film d’animazione del 1994. Un’operazione di restyling fortemente contemporanea che si appoggia su un imponente utilizzo della CGI che, anche a questo giro, non lascia certamente indifferenti. L’imprinting visivo è maestoso e il realismo con cui sono rappresentati gli animali protagonisti del racconto lascia senza parole. Di contro, ciò che manca maggiormente è la dimensione originaria del mito, della leggenda di un racconto per immagini che non riesce più ad avere la stessa magniloquenza dell’antesignano film d’animazione. Certo, non mancano i riferimenti al passato (rievocato continuamente tramite i già citati flashback), al valore e all’importanza del “passaggio di consegne” tra generazioni, oltre ad una tutt’altro che banale riflessione sul concetto del sogno, rappresentato nel film dalla “terra promessa” di Milene, un ipotetico paradiso terrestre “al di là della luce” in cui gli animali della foresta possono vivere in pace e armonia, gli uni con gli altri. In questo senso, Jenkins intreccia i fili della propria poetica cinematografica, dove il sogno e l’utopia sono i due cardini della riflessione storica e politica sull’epopea afroamericana (basti pensare alla magia e al fascino esercitato dall’ucronia de La ferrovia sotterranea o l’utopia romantica che avvolge, nel vero senso della parola, i due personaggi protagonisti di Se la strada potesse parlare). Questi interessanti spunti di connessione e riflessione non sono però supportati da una sceneggiatura all’altezza delle premesse. Il film cala notevolmente nella fase centrale, faticando a riprendersi fino al discreto epilogo del racconto. Nella versione originale spicca il contributo di Mads Mikkelsen che interpreta il terribile Kiros. Nella versione italiana, invece, tra le note più liete troviamo la voce di Luca Marinelli che rimpiazza Aaron Pierre donando la propria inconfondibile voce a Mufasa. Meno convincenti le performance di Marco Mengoni, nei panni di Simba, e di Elodie, in quelli di Sarabi. Il film si apre con un sentito omaggio a James Earl Jones, voce storica di Mufasa nei precedenti capitoli della saga.