Ritratto di una grande icona del cinema (Al Pacino) alle prese con il ruolo più impegnativo mai interpretato: se stesso (e il re Erode).



Terza prova dietro la macchina da presa per Al Pacino. Come nel suo esordio Riccardo III – Un uomo, un re (1996), l’attore-regista è il mattatore assoluto della rappresentazione (nella rappresentazione): Wilde Salomé è un film sull’ispirazione, ma è meno ispirato della sua opera prima. Pacino esplora le complessità del dramma di Oscar Wilde, cerca di cogliere lo spirito e le motivazioni che hanno spinto l’autore irlandese a scriverlo, mescolando cinema e teatro, finzione e documentario, all’interno di una narrazione suggestiva ma spesso confusa, affascinante ma troppo autocompiaciuta. Diversi spunti sono piuttosto interessanti, così come funziona il lato più documentaristico relativo alla vita (e agli aforismi) di Oscar Wide, ma Pacino si guarda troppo allo specchio e con un senso di onnipotenza mette spesso se stesso al centro dell’opera. Le interviste e le parole dicono più delle immagini e, soprattutto in un’operazione come questa, non è sempre un buon segno. Presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia 2011.
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