Zhenia (Alec Utgoff) è un massaggiatore, migrante ucraino, che si trasferisce in Polonia e diventa un vero e proprio punto di riferimento per un’intera comunità di persone ricche, ma insoddisfatte.

C’è davvero moltissima carne al fuoco in questa pellicola che mescola allegoria sociopolitica, riferimenti al passato della Polonia e riflessioni attorno all’ingresso di un corpo estraneo all’interno di una comunità ristretta. Malgorzata Szumowska (che qui dirige insieme a Michal Englert) ci ha spesso abituati a lavorare col simbolismo (si veda anche il precedente Mug del 2018), ma in questo caso lo rende l’assoluto protagonista di un lungometraggio che sfocia anche nel surreale, attraverso una curiosa serie di “trucchi” cinematografici e narrativi. L’ambizione è alta e in diversi passaggi si finisce per cadere, ma il film quasi miracolosamente riesce a mantenersi interessante e curioso per la sua intera durata, preservando un fascino evidente e un’anticonvenzionalità decisamente dichiarata. È il classico film che si può amare od odiare, ma che in ogni caso non può e non deve lasciare indifferenti. Buona prova complessiva di un cast chiamato a un lavoro non semplice. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2020.
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