Anni Quaranta, sul finire della Seconda guerra mondiale. Internato in un campo di prigionia tedesco, il tenente Thomas Hart (Colin Farrell) assume la difesa di Lincoln Scott (Terrence Howard), soldato di colore accusato di omicidio. A presiedere il processo, il colonnello McNamara (Bruce Willis), ma Hart scopre ben presto che la posta in gioco è molto più alta.

Pessimo prodotto che tenta una commistione tra l'elemento drammatico e quello bellico, risultando approssimativo e superficiale su entrambi i fronti. Il regista Gregory Hoblit (che si basa su un romanzo di John Katzenbach, adattato da Billy Ray e Terry George) tratteggia una sfacciata apologia del superomismo tipicamente americano, tra eroismi d'accatto e retorica dilagante: il risultato è prolisso e verboso, inutilmente presuntuosetto e decisamente probante (la durata, superiore alle due ore, non aiuta a dilatare la soglia di tollerabilità). A coronare il tutto, un cast sottotono, con un irritante Colin Farrell a fare da traino. Sam Worthington è il caporale Guidry. Musiche di Rachel Portman, fotografia di Alar Kivilo.
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