
No Other Land
No Other Land
Durata
92
Formato
Un collettivo palestinese-israeliano che mostra la distruzione di Masafer Yatta, nella Cisgiordania occupata, da parte dei soldati israeliani e l'alleanza che si sviluppa tra l'attivista palestinese Basel e il giornalista israeliano Yuval.
Documento urgente e preciso nel denunciare la violenza dei militari israeliani in Cisgiordania. Attraverso immagini d’archivio e materiale inedito girato con telecamere a mano e cellulari, il team di registi osa sfidare, con la pura sincerità delle immagini, l’abuso di potere da parte di Israele nei territori palestinesi occupati. Non andando mai a scavare morbosamente nella sofferenza, il documentario riesce comunque ad assestare un pugno allo stomaco dopo l’altro sia mostrando l’impunità dei coloni sia evidenziando, sotterraneamente, l’impotenza e l’inattività internazionale. Non mancano alcune ripetitività e qualche picco di retorica, ma sono questi elementi necessari all’operazione: rimarcare anche l’ovvio, quando il contesto mediatico occidentale lascia così poco spazio alle narrazioni autoctone, era sicuramente uno degli obiettivi di un film dai meriti più politici che cinematografici. Questo però non impedisce ai registi di regalare varie scene di grande potenza visiva, soprattutto per quanto riguardano i passaggi diretti in prima persona da Basel Adra, faccia a faccia con la violenza militare. Altrettanto efficaci sono i momenti di intima vicinanza tra Adra e Yuval Abraham, tra speranze future, riflessioni amare e attimi di leggerezza. Storica vittoria agli Oscar come miglior documentario, dopo un primo fruttuoso passaggio alla Berlinale. Un film che fa arrabbiare, riflettere e discutere, ma che difficilmente si dimentica: il violento arresto di Hamdan Ballal, pochi giorni dopo la premiazione hollywoodiana, è un’ennesima prova dell’improrogabilità di accogliere quel grido di dolore, politico e umanissimo, che il film fa risuonare sin dalle prime inquadrature.
Documento urgente e preciso nel denunciare la violenza dei militari israeliani in Cisgiordania. Attraverso immagini d’archivio e materiale inedito girato con telecamere a mano e cellulari, il team di registi osa sfidare, con la pura sincerità delle immagini, l’abuso di potere da parte di Israele nei territori palestinesi occupati. Non andando mai a scavare morbosamente nella sofferenza, il documentario riesce comunque ad assestare un pugno allo stomaco dopo l’altro sia mostrando l’impunità dei coloni sia evidenziando, sotterraneamente, l’impotenza e l’inattività internazionale. Non mancano alcune ripetitività e qualche picco di retorica, ma sono questi elementi necessari all’operazione: rimarcare anche l’ovvio, quando il contesto mediatico occidentale lascia così poco spazio alle narrazioni autoctone, era sicuramente uno degli obiettivi di un film dai meriti più politici che cinematografici. Questo però non impedisce ai registi di regalare varie scene di grande potenza visiva, soprattutto per quanto riguardano i passaggi diretti in prima persona da Basel Adra, faccia a faccia con la violenza militare. Altrettanto efficaci sono i momenti di intima vicinanza tra Adra e Yuval Abraham, tra speranze future, riflessioni amare e attimi di leggerezza. Storica vittoria agli Oscar come miglior documentario, dopo un primo fruttuoso passaggio alla Berlinale. Un film che fa arrabbiare, riflettere e discutere, ma che difficilmente si dimentica: il violento arresto di Hamdan Ballal, pochi giorni dopo la premiazione hollywoodiana, è un’ennesima prova dell’improrogabilità di accogliere quel grido di dolore, politico e umanissimo, che il film fa risuonare sin dalle prime inquadrature.