Una troupe di attori, rivolgendosi direttamente al pubblico, decide di ricostruire alcuni momenti fondamentali dell'oscura trattativa Stato-Mafia, alternando i frammenti di fiction al loro racconto e a una serie di documenti d'archivio.

Giunta al sesto lungometraggio da regista, Sabina Guzzanti opta per intrecciare un gioco tra finzione e realtà, accompagnando i documenti a ricostruzioni (fatte dagli attori) dei momenti cruciali di questa vergognosa pagina della storia italiana. La bella fotografia di Daniele Ciprì, chiaroscurata e quasi simbolica dell'alternanza luce/ombra che contraddistingue l'argomento, tinteggia i foschi quadri di cui si compone la pellicola, solo a sprazzi alleggerita brevemente da qualche momento di (amara) distensione, come le brevi apparizioni della Guzzanti nei panni di Berlusconi. Pesanti cadute di stile danneggiano gravemente il finale (la sequenza che immortala i funerali delle vittime di mafia sottolineata nell'afflato retorico da lacrimevoli musiche di Nicola Piovani, la “rilettura” della famosa agenda rossa di Paolo Borsellino), depotenziando l'urlo di sdegno lanciato dalla prima parte. Il film è stato presentato fuori concorso alla 71ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.
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