O-bi, o-ba: La fine della civiltà
O-bi, o-ba. Koniec cywilizacji
Durata
88
Formato
Regista
In un mondo post-apocalittico, centinaia di persone vivono all’interno di un bunker che chiamano Cupola: stanno aspettando l’arrivo dell’Arca, una nave che li possa portare in salvo. Ma un uomo di nome Soft (Jerzy Stuhr), tra gli ideatori del progetto, si muove in quel luogo con la consapevolezza che la promessa dell’Arca è una menzogna.
Terzo capitolo della tetralogia fantascientifica di Piotr Szulkin, O-Bi, O-Ba. La fine della civiltà porta all’estremo i temi del controllo sociale e della distopia della contemporaneità. Il regista costruisce un non-luogo dalla rigida gerarchia interna, ma dove ogni differenza di classe si annulla nella medesima miseria esistenziale. Qualche manierismo di troppo ma sono comunque diverse le idee a restare impresse: la consegna del “pane”, la cella frigorifera segreta, l’ufficio del superiore ormai folle. Tutti elementi in grado di sublimare il senso straniante che permea l’intera pellicola, ben assecondato da dialoghi carichi di strisciante inquietudine e dalla splendida fotografia virata sul blu, gelida e quasi aliena. Perfetta l’idea dì usare come protagonista un uomo invischiato nel progetto della Cupola, addetto al controllo della sicurezza della struttura ormai fatiscente e, al contempo, alla propaganda del mito salvifico dell’Arca. Lui stesso inizia a perdere fiducia nel progetto: nato per non fare impazzire del tutto la popolazione, dandole un motivo che la allontanasse dalla disperazione e dalla violenza, il piano non è comunque riuscito a evitare la degenerazione della società, e Soft tende sempre più ad abbandonarsi all’illusione di una vita migliore con l’amata (Krystyna Janda), per non cadere in un’agonia nichilista che non sarebbe in grado di sostenere. Se c'è qualche ridondanza nella parte centrale, è invece potentissimo il finale, una conclusione che sembra far superare la claustrofobia del bunker aprendosi a un luminosissimo paesaggio innevato, ma cui risultato è un delirio onirico che impone al protagonista di tornare indietro, impossibilitato a fuggire e a rompere il ciclo dell’illusione. Le musiche di Jerzy Satanowski acuiscono il senso di ansietà e impotenza del film, donandogli ancor più quella dimensione da incubo a occhi aperti che non abbandona facilmente il pubblico alla fine della visione.