
Precious
Precious
Durata
110
Formato
Regista
Nella Harlem del 1987, il destino sembra accanirsi contro la sedicenne Precious (Gabourey Sidibe): obesa e semianalfabeta, è vittima delle ripetute violenze del padre sieropositivo, da cui ha avuto una figlia con la sindrome di Down e che l’ha messa nuovamente incinta. Grazie a una combattiva insegnante (Paula Patton), la ragazza cerca un riscatto sociale dalla miseria di cui è vittima.
Alla sua opera seconda dopo Shadowboxer (2005), Lee Daniels adatta il romanzo Push della scrittrice Sapphire, cavandone il ritratto di un’incredibile adolescente e, al contempo, del degrado culturale della comunità di colore negli anni Ottanta, l’altra faccia – marcia e desolante – dell’America yuppie. Ma il cinema all black di Daniels, oltre allo strabordante strazio messo in scena che cade spesso nella trappola della retorica spicciola, è approssimativo, troppo schematico, manicheo nel disegno dei personaggi, tecnicamente inconsistente (dallo stile kitsch figlio dell’estetica da videoclip). L'esordiente Gabourey Sidibe è efficace e buca lo schermo con una presenza scenica notevole. Restano invece discutibili gli Oscar assegnati alla sceneggiatura non originale di Geoffrey Fletcher (primo afroamericano ad aver vinto tale titolo) e alla sopravvalutata Mo’Nique, miglior non protagonista per il ripugnante ruolo della madre, così come i tre riconoscimenti conquistati al Sundance Film Festival (premio del pubblico, gran premio della giuria e premio speciale della giuria alla stessa Mo’Nique, che ha vinto anche Golden Globe e SAG). Decisamente sopravvalutato.
Alla sua opera seconda dopo Shadowboxer (2005), Lee Daniels adatta il romanzo Push della scrittrice Sapphire, cavandone il ritratto di un’incredibile adolescente e, al contempo, del degrado culturale della comunità di colore negli anni Ottanta, l’altra faccia – marcia e desolante – dell’America yuppie. Ma il cinema all black di Daniels, oltre allo strabordante strazio messo in scena che cade spesso nella trappola della retorica spicciola, è approssimativo, troppo schematico, manicheo nel disegno dei personaggi, tecnicamente inconsistente (dallo stile kitsch figlio dell’estetica da videoclip). L'esordiente Gabourey Sidibe è efficace e buca lo schermo con una presenza scenica notevole. Restano invece discutibili gli Oscar assegnati alla sceneggiatura non originale di Geoffrey Fletcher (primo afroamericano ad aver vinto tale titolo) e alla sopravvalutata Mo’Nique, miglior non protagonista per il ripugnante ruolo della madre, così come i tre riconoscimenti conquistati al Sundance Film Festival (premio del pubblico, gran premio della giuria e premio speciale della giuria alla stessa Mo’Nique, che ha vinto anche Golden Globe e SAG). Decisamente sopravvalutato.