Ritorno a Seoul
Retour à Séoul
Durata
119
Formato
Regista
Freddie (Park Ji-min), istintiva e testarda ragazza sudcoreana adottata da una famiglia francese, sceglie Seoul come destinazione alternativa dopo la cancellazione del suo volo per Tokyo. In questo paese di cui ignora lingua e costumi, si mette sulle tracce dei genitori biologici, iniziando un viaggio attraverso la sua cultura d’origine e affrontando le conseguenze dell’abbandono e del rifiuto.
Per il suo secondo lungometraggio, Davy Chou, regista cambogiano naturalizzato francese, ingaggia una scultrice e pittrice senza alcuna esperienza attoriale: sorprende quindi come Park Ji-min, sudcoreana cresciuta in Francia, sorregga senza fatica un film dalla regia sommessa, apparentemente al servizio delle sue espressioni dure e dei suoi occhi rabbiosi, che riempiono l’immagine con primi piani immobili, ma tesi e pronti a incrinarsi. Il regista stesso dice che, in alcune sequenze, c’è una lotta tra lui e Freddie: “lei fa quello che vuole” e la telecamera la insegue. Ed è così che la giovane donna controlla e allontana la tristezza e la paura generate dall’abbandono: prende il controllo della situazione in maniera caotica e istintiva, minacciando anche di cancellare gli affetti “con uno schiocco di dita” e gli altri si devono adeguare. Questa regia silenziosa con la sua estetica calda e accogliente è il letto perfetto per dare risalto al fiume sotterraneo di rabbia e tristezza che navighiamo insieme a Freddie. Quando però, come nelle sequenze sulla fase “dark” della protagonista, cambia rotta e la fotografia si fa più invadente, le luci più volente e Freddie diventa femme fatale, la regia, pur rimanendo funzionale, sfiora l’autocompiacimento e una faciloneria estranea al resto della pellicola che è invece dura e vera nella sua coerenza con la psicologia e i comportamenti delle persone coinvolte in vissuti così drammatici. Davy Chou è infatti magistrale nel raccontarci senza buonismi e sconti le conseguenze che l’abbandono ha non solo su Freddie, ma anche sui suoi genitori biologici, esseri umani segnati da una scelta che non dipende dall’essere buoni o cattivi, ma dalla necessità di sopravvivere. Il film ha debuttato nel 2022 al Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard ed è stato scelto come rappresentante della Cambogia agli Oscar 2023.
Per il suo secondo lungometraggio, Davy Chou, regista cambogiano naturalizzato francese, ingaggia una scultrice e pittrice senza alcuna esperienza attoriale: sorprende quindi come Park Ji-min, sudcoreana cresciuta in Francia, sorregga senza fatica un film dalla regia sommessa, apparentemente al servizio delle sue espressioni dure e dei suoi occhi rabbiosi, che riempiono l’immagine con primi piani immobili, ma tesi e pronti a incrinarsi. Il regista stesso dice che, in alcune sequenze, c’è una lotta tra lui e Freddie: “lei fa quello che vuole” e la telecamera la insegue. Ed è così che la giovane donna controlla e allontana la tristezza e la paura generate dall’abbandono: prende il controllo della situazione in maniera caotica e istintiva, minacciando anche di cancellare gli affetti “con uno schiocco di dita” e gli altri si devono adeguare. Questa regia silenziosa con la sua estetica calda e accogliente è il letto perfetto per dare risalto al fiume sotterraneo di rabbia e tristezza che navighiamo insieme a Freddie. Quando però, come nelle sequenze sulla fase “dark” della protagonista, cambia rotta e la fotografia si fa più invadente, le luci più volente e Freddie diventa femme fatale, la regia, pur rimanendo funzionale, sfiora l’autocompiacimento e una faciloneria estranea al resto della pellicola che è invece dura e vera nella sua coerenza con la psicologia e i comportamenti delle persone coinvolte in vissuti così drammatici. Davy Chou è infatti magistrale nel raccontarci senza buonismi e sconti le conseguenze che l’abbandono ha non solo su Freddie, ma anche sui suoi genitori biologici, esseri umani segnati da una scelta che non dipende dall’essere buoni o cattivi, ma dalla necessità di sopravvivere. Il film ha debuttato nel 2022 al Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard ed è stato scelto come rappresentante della Cambogia agli Oscar 2023.