L'ispettore dell'interpol Tomas Ravelli (Tomas Milian) indaga sui crimini compiuti da una banda di malviventi capeggiata dal Marsigliese (Gastone Moschin). Cinque anni prima, il temibile rapinatore fu il responsabile dell'omicidio della moglie di Ravelli, il quale è spinto da sete di giustizia e di vendetta.

Noir crepuscolare, caratterizzato da scarsa originalità, ma quantomeno immerso in peculiari e plumbee atmosfere di provincia, che Stelvio Massi ambienta per gran parte nella città di Pavia, topograficamente vicina ma esteticamente lontana dalla frenetica Milano, teatro di tanti poliziotteschi anni Settanta. Se sceneggiatura e regia non si discostano dagli schemi e dalle ingenuità care al genere di riferimento, risultano meglio approfondite le caratterizzazioni dei personaggi principali: Tomas Milian incarna un antieroe malinconico più che rabbioso, distante dai personaggi feroci che Umberto Lenzi cucirà su di lui in Milano odia: la polizia non può sparare (1974) e Roma a mano armata (1976). Gastone Moschin, già protagonista di Milano calibro 9 (1972) di Fernando Di Leo, dà vita a un feroce e glaciale antagonista. Una dialettica elementare, che sostiene una pellicola non eccelsa ma onesta. Sceneggiatura di Massi, Dardano Sacchetti, Adriano Bolzoni e Franco Barberi; musiche di Stelvio Cipriani.
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