Traffic

In Messico, il poliziotto Javier Rodriguez (Benicio Del Toro) collabora con il generale Salazar (Tomas Milian) per smantellare il Cartello di Tijuana, pericolosa organizzazione criminale dedita al narcotraffico. A Washington, il giudice Robert Wakefield (Michael Douglas) viene nominato capo del dipartimento per l'antidroga, ma la sua battaglia principale sarà in famiglia, dove la giovane figlia (Erika Christensen) si scopre tossicodipendente. A San Diego, due agenti della DEA (Don Cheadle e Luis Guzman) cercano di incastrare un uomo d'affari (Steven Bauer) in combutta con il Cartello messicano.

La struttura drammaturgica unisce tre storie legate tra loro dal filo conduttore del traffico di droga e viaggia sul confine geografico e metaforico tra Messico e Stati Uniti. Partendo da questi presupposti, Soderbergh imbastisce una narrazione corale avvincente e dalla precisa messa in scena. Anche stilisticamente, la pellicola diversifica i luoghi in cui la vicenda si svolge: la parte messicana è virata in un giallo ocra mentre quella di Washington è immersa in un blu profondo. Emerge così un racconto simbolico di una lotta tra bene e male, dove la piaga della droga è usata come vettore per muovere i personaggi e motivare le loro azioni; e proprio il narcotraffico è la spinta ultima alla tragedia e alle scelte estreme intraprese dai protagonisti. Soderbergh dona ritmo e tensione, sfrutta bene il cast di grandi nomi che ha a disposizione e tiene le fila di un film ambizioso. Peccato però che nel finale non sappia scegliere fino in fondo tra il nichilismo e il messaggio d'accusa: il risultato complessivo, così, è meno affascinante di quanto poteva essere. Premiato con quattro premi Oscar nel 2001 (miglior regista, miglior montaggio, miglior sceneggiatura non originale e miglior attore non protagonista a Del Toro).