Quattro episodi della vita di Elia Suleiman e della sua famiglia: nel 1948, il padre Fuad (Saleh Bakri) lotta contro l'esercito israeliano; nel 1970, Elia (Zuhair Abu Hanna) cresce a Nazaret, tra persecuzioni e situazioni bizzarre; nel 1980, un Elia ventenne (Ayman Espanioli) è costretto all'esilio; ai giorni nostri, il regista (che interpreta se stesso) torna a casa.

Il quarto lungometraggio di finzione del palestinese Elia Suleiman è un delizioso racconto parzialmente autobiografico, che guarda dall'interno una realtà difficile e controversa (la condizione della popolazione araba israeliana, l'eterno conflitto israelo-palestinese) rileggendola sotto la lente di un umorismo agrodolce ma al contempo spietato. Eterno esule senza patria, Suleiman va a pescare i diari del padre, le lettere della madre e i ricordi d'infanzia, filtra la Storia attraverso la memoria personale e realizza un racconto dell'assurdo che si muove tra quadri giustapposti, di grande impatto visivo. Il gioco alla lunga può stancare (specie un pubblico poco avvezzo al classico “film da festival”), ma l'originalità di Suleiman e la sua capacità di far crollare i cliché occidentali sul Medio Oriente sono innegabili. Al centro, e defilato al medesimo tempo, è Elia stesso, testimone dallo sguardo eternamente basito di fronte agli eventi e ai paradossi della vita; fino all'unico gesto finale, irreale e quasi fumettistico, una metafora politica che fa sorridere e riflettere. Presentato in concorso al Festival di Cannes.
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