Nel 1890 Buffalo Bill, al secolo William Cody (John C.Reilly), è in Italia per presentare lo spettacolo itinerante del Wild West Show. A Roma i suoi cowboys subiscono una pesante umiliazione ad opera di un gruppo di butteri locali in una gara di doma. Tra questi c’è Santino (Alessandro Borghi), al servizio di un signorotto locale sposato con la bella Rosa (Nadia Tereszkiewicz).

A distanza di quattro anni dal lungometraggio d’esordio Re Granchio, Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis tornano a lavorare sulla decostruzione delle forme del racconto, ibridando lo sguardo autoriale con gli stilemi del cinema di genere. Se nel film precedente le contaminazioni, anche letterarie, erano numerose, questa volta oggetto di rilettura è essenzialmente il western, soprattutto quello più crepuscolare e revisionista di registi come Monte Hellman e Sam Peckinpah. Di grande suggestione già nei titoli di testa l’avvio del racconto, suddiviso in tre capitoli narrati dalla voce di Buffalo Bill, un John C. Reilly perfettamente calato nel mito. Se tuttavia la prima parte offre momenti godibili, anche grazie all’indubbio gusto e talento dei due registi, il meccanismo sembra incepparsi più volte lungo la complessa prosecuzione del racconto. L’idea di partenza di un cinema fondato sulla trasmissione orale delle storie e sulla sua inaffidabilità concettualmente si ritrova dentro una struttura narrativa articolata come quella del film, piena di ellissi, salti temporali e contraddizioni interne. La stessa molteplicità di substrati è peraltro oggettivata dalla scelta di utilizzare più formati, tra pellicola in 35mm, super16 e digitale, per rendere i diversi passaggi della trama. Quello che purtroppo manca è una tridimensionalità effettiva dei personaggi principali, schiacciati dentro un tour-de-force che a tratti ha il sapore dell’esercizio di stile. I temi della ricerca dell’identità e della necessità della ribellione sono spunti interessanti, ma passano in secondo piano in un’opera tutta centrata sulla ricercatezza espressiva. Gratuite e pretenziose risultano alcune scelte di scrittura soprattutto nella parte finale, in cui l’effetto di accumulo e giustapposizione di situazioni, toni e linguaggi troppo eterogenei mostra il fianco. Ottimo il lavoro di resa fotografica su pellicola di scenari terragni e paludosi, filmati tra il Circeo e la Toscana, mentre decisamente più debole risulta l’apporto della colonna sonora. Da segnalare nel cast, nei panni di un villain vecchia scuola, la presenza di Gianni Garko, volto della grande stagione dello Spaghetti Western italiano.

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