The Disappearance of Josef Mengele

Das Verschwinden des Josef Mengele

Durata

135

Formato

Gli anni di fuga del medico e criminale di guerra nazista Josef Mengele (August Diehl), che trovò rifugio in Sud America alla fine della Seconda guerra mondiale e vi rimase fino alla sua morte, avvenuta nel 1979. 

Dopo La moglie di Tchaikovsky (2022) e Limonov (2024), Kirill Serebrennikov si confronta di nuovo con un periodo storico ben preciso mettendo al centro della vicenda un personaggio tormentato, in costante conflitto con il mondo circostante. Il regista e sceneggiatore russo parte dalla morte del corpo e dello spirito, mostrando lo scheletro di Mengele, agghiacciante simbolo di una totale scarnificazione del Male assoluto. Da qui il racconto si muove lungo vari decenni e vari luoghi, in un viaggio cupo e sinistro dal Paraguay alla giungla brasiliana, capace di tracciare il complesso ritratto di un boia che cerca di sfuggire al suo destino, mentre attorno a lui il mondo evolve e prende coscienza dei crimini nazisti. Serebrennikov sceglie una cifra stilistica più controllata rispetto ad altre sue opere del passato e il virtuosismo della regia, seppur evidente in diverse scene girate con i consueti, elaborati piani-sequenza, lascia spazio a un cupo pedinamento talvolta abbastanza ordinario, illuminato però da momenti di notevole tensione drammaturgica. Fuggitivo che può solo rifugiarsi in una disumana "gloria" morta e sepolta, Mengele è un fantasma, un relitto del passato, un simbolo dell'orrore che vive una frammentata esistenza di ricordi, costretto a moltiplicare la propria identità, e quindi metaforicamente a rinnegare se stesso, per provare a vivere. Questa vita spettrale è resa nel film con grande senso plastico, optando per un bianco e nero carico di ombre e mistero. Gli unici momenti in cui il colore restituisce vita a Mengele riguardano le brevi sequenze del suo aberrante operato durante la guerra: quella che per tutto il film è una mostruosità solamente suggerita, nella sequenza all'interno del campo di sterminio di Auschwitz, in cui Mengele dà sfogo al suo sadismo, diventa un momento di cinema riservato solo a stomaci forti, al limite del sadico voyeurismo e della pornografia del dolore. Accanto a momenti abbastanza didascalici (il rapporto padre/figlio in primis), il film riesce a trovare numerosi passaggi di raffinata suggestione, anche grazie a un'eccellente direzione degli attori. Impossibile non andare con la mente a Gregory Peck e al suo luciferino Josef Mengele, "Angelo della morte" in abito bianco, protagonista del piccolo cult di fanta-spionaggio I ragazzi venuti dal Brasile (1978), a cui Serebrennikov fa un fugace quanto gustoso riferimento nei dialoghi. Tratto dal romanzo La scomparsa di Josef Mengele (2017) del giornalista, saggista e scrittore francese Olivier Guez. Presentato nella sezione Cannes Première.



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