The Smashing Machine
The Smashing Machine
Premi Principali
Leone d’argento per la miglior regia alla Mostra del Cinema di Venezia 2025
Durata
123
Formato
Regista
1997-2000. Quattro anni nella vita di Mark Kerr (Dwayne Johnson), leggenda delle arti marziali miste e dell’Ultimate Fighting Championship.
La vita è come un ring: è una frase banale, spesso utilizzata nei commenti ai film sul pugilato, sottolineando come in tante pellicole sul tema i protagonisti siano dei combattenti costretti a lottare tanto nello sport quanto nella sfera privata. Benny Safdie, che esordisce alla regia in solitaria dopo tanti titoli realizzati col fratello Josh (tra cui il notevolissimo Diamanti grezzi), non si distacca da questa modalità narrativa, seppur riesca a dare vita a un prodotto comunque anomalo. The Smashing Machine non è la classica storia di ascesa e sconfitta, ma è soprattutto un film sulle fragilità umane, sulle complicazioni della vita di coppia, sull’importanza dell’amicizia. «Come reagirai se dovessi essere sconfitto?», chiedono a Mark Kerr prima di un incontro importante, ma lui non sa rispondere, non riesce neanche a contemplare questa remota possibilità. La chiave di questo buon film è tutta qui: comprendere che nella vita non sempre si vince ma, anzi, le sconfitte fanno parte di un percorso in cui si può continuare a sorridere. Anche in questo caso il concetto può apparire semplice, e si rischia qualche didascalismo di troppo, ma il bel copione scritto dallo stesso regista porta avanti la riflessione in maniera tanto essenziale quanto profonda, attraverso piccoli gesti e parole estremamente realistiche. Safdie non punta alla spettacolarità ma all’umanità, creando un personaggio in questo senso straordinario tanto è credibile, intenso e… umano, per l’appunto. The Smashing Machine si prende i suoi tempi, va piano (splendida la sequenza sulla giostra, davvero emblematica in questo senso), senza volutamente esplodere mai. Segue il ritmo di una vita senza che si compiano tragedie e trionfi, una vita forse come tante, ed è anche per questo che la scena finale appare del tutto coerente con i toni di un film mai urlato, intelligente, forse privo di momenti memorabili ma ugualmente riuscito. Prova della vita per Dwayne Johnson, che visto il suo passato da wrestler regala al personaggio qualcosa che sembra provenire direttamente dalla sua anima. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, il film ha vinto il premio per la miglior regia.