Parola di Dio
(M)uchenik
Durata
118
Formato
Regista
Veniamin (Pyotr Skvortsov) è un adolescente difficile alle prese con una crisi mistica in piena regola: la sua decisione di prendere alla lettera ogni parola della Bibbia e di diventare un estremista religioso metterà in grave difficoltà sia la madre (Yuliya Aug), sia gli insegnanti e i compagni di scuola.
Presentato nella sezione Un Certain Regard del 69° Festival di Cannes, Parola di dio è una pellicola che tenta disperatamente di assumere un piglio autoriale nella regia che incornicia il delirio di onnipotenza di Veniamin, con toni lividi e ambientazioni misere. Lungi dal raggiungere i risultati pregevoli del (per certi versi) simile Kreuzweg – Le stazioni della fede (2014), il film non riesce mai a empatizzare con lo sgradevole protagonista, che risulta in tutti i momenti odioso ed eccessivo senza mai scatenare una riflessione più che superficiale sul disagio adolescenziale. Anche lo stratagemma di far apparire in sovraimpressione i versi biblici citati da Veniamin appare più forzata che originale e, complice la durata di quasi due ore, l’interesse scema presto in un ripetersi esasperato di scene madri. Non mancano alcuni spunti interessanti, soprattutto nelle prime battute, ma il conflitto tra le pulsioni della carne e il tentativo di sublimazione nell’autopunizione della castità risulta piuttosto elementare e il parallelismo con gli estremismi islamici (che tanto fanno paura alla società contemporanea) è decisamente scontato. Tratto da un’opera teatrale, Parola di Dio non riesce a trovare forza e dimensione nell’adattamento per il grande schermo, e, nonostante il tema di notevole interesse e un soggetto quantomeno accattivante, finisce per non lasciare mai pienamente il segno.
Presentato nella sezione Un Certain Regard del 69° Festival di Cannes, Parola di dio è una pellicola che tenta disperatamente di assumere un piglio autoriale nella regia che incornicia il delirio di onnipotenza di Veniamin, con toni lividi e ambientazioni misere. Lungi dal raggiungere i risultati pregevoli del (per certi versi) simile Kreuzweg – Le stazioni della fede (2014), il film non riesce mai a empatizzare con lo sgradevole protagonista, che risulta in tutti i momenti odioso ed eccessivo senza mai scatenare una riflessione più che superficiale sul disagio adolescenziale. Anche lo stratagemma di far apparire in sovraimpressione i versi biblici citati da Veniamin appare più forzata che originale e, complice la durata di quasi due ore, l’interesse scema presto in un ripetersi esasperato di scene madri. Non mancano alcuni spunti interessanti, soprattutto nelle prime battute, ma il conflitto tra le pulsioni della carne e il tentativo di sublimazione nell’autopunizione della castità risulta piuttosto elementare e il parallelismo con gli estremismi islamici (che tanto fanno paura alla società contemporanea) è decisamente scontato. Tratto da un’opera teatrale, Parola di Dio non riesce a trovare forza e dimensione nell’adattamento per il grande schermo, e, nonostante il tema di notevole interesse e un soggetto quantomeno accattivante, finisce per non lasciare mai pienamente il segno.