The Plains
The Plains
Durata
180
Formato
Regista
Andrew è un impiegato che ogni giorno, verso le 17, percorre lo stesso tragitto per tornare a casa sua, a Melbourne. Durante il viaggio telefona spesso a sua madre o a sua moglie e talvolta viene accompagnato da David, un collega.
Per il suo primo lungometraggio, Easteal sceglie di rimettere in scena la genesi di un rapporto d’amicizia con un ex collega: il film è quindi una drammatizzazione del tutto verosimile di eventi realmente accaduti. Un interessante ibrido tra finzione e cinema del reale che si sviluppa tramite lunghe inquadrature fisse dal sedile posteriore di un’auto che riprendono ritualisticamente la strada dall’ufficio a casa di un uomo australiano mentre ascolta la radio e conversa con la madre malata, la moglie e un suo giovane collega: se sulla carta l’idea poteva sembrare banale o addirittura soporifera, il risultato è invece un film dal magnetismo sorprendente. Tra chiacchierate amichevoli e silenzi malinconici e talvolta imbarazzati, l’iperrealismo delle conversazioni su memoria, lutto e relazioni interpersonali riesce ad appassionare per la sua sincerità e familiarità, mentre non mancano discorsi sull’atto stesso di riprendere e delle sue possibilità. All’apparenza semplice, ma per nulla semplicistico, il film è anche un atto di accusa contro l’alienazione del mondo contemporaneo, in cui però si aprono spiragli di (forse utopica) fuga grazie alle pianure del titolo, che appaiono in sporadici piani sequenza girati con il drone e sono veri e propri gridi di liberazione dall’asfissia del traffico cittadino. Il regista interpreta il giovane collega (ovvero se stesso) e oltre ad averlo diretto, è anche produttore, sceneggiatore e montatore del film.
Per il suo primo lungometraggio, Easteal sceglie di rimettere in scena la genesi di un rapporto d’amicizia con un ex collega: il film è quindi una drammatizzazione del tutto verosimile di eventi realmente accaduti. Un interessante ibrido tra finzione e cinema del reale che si sviluppa tramite lunghe inquadrature fisse dal sedile posteriore di un’auto che riprendono ritualisticamente la strada dall’ufficio a casa di un uomo australiano mentre ascolta la radio e conversa con la madre malata, la moglie e un suo giovane collega: se sulla carta l’idea poteva sembrare banale o addirittura soporifera, il risultato è invece un film dal magnetismo sorprendente. Tra chiacchierate amichevoli e silenzi malinconici e talvolta imbarazzati, l’iperrealismo delle conversazioni su memoria, lutto e relazioni interpersonali riesce ad appassionare per la sua sincerità e familiarità, mentre non mancano discorsi sull’atto stesso di riprendere e delle sue possibilità. All’apparenza semplice, ma per nulla semplicistico, il film è anche un atto di accusa contro l’alienazione del mondo contemporaneo, in cui però si aprono spiragli di (forse utopica) fuga grazie alle pianure del titolo, che appaiono in sporadici piani sequenza girati con il drone e sono veri e propri gridi di liberazione dall’asfissia del traffico cittadino. Il regista interpreta il giovane collega (ovvero se stesso) e oltre ad averlo diretto, è anche produttore, sceneggiatore e montatore del film.