Unicorn Store

Kit (Brie Larson), una ragazza di vent’anni, è una sognatrice solitaria, con alcuni dubbi sul lasciare le comodità dell’infanzia e abbracciare completamente l’età adulta. Gli eventi costringono Kit a trasferirsi, di nuovo, con i genitori e ad accettare un noioso lavoro in un ufficio. Proprio quando si decide a crescere, un misterioso venditore entra nella sua vita e le offre quello che era il suo più grande desiderio da bambina.



Debutto alla regia del premio Oscar Brie Larson, che si avvale della sceneggiatura scritta da Samantha McIntyre, Unicorn Store è un esordio tanto sincero quanto fragilissimo, vittima di una componente naïf che fin dai primi minuti risulta troppo marcata per essere tollerabile o anche solo non indigesta. L’attrice mette in scena se stessa nei panni di una ragazza svampita e ripiegata su se stessa, che trova in un mondo fatato e popolato da unicorni l’unica valvola di sfogo possibile per assorbire il fallimento delle sue ambizioni da pittrice. Un’evasione surreale che non produce però alcun esito interessante e denota soltanto una preoccupante povertà d’idee, anche se a partire da uno spunto tutt’altro che banale e dall’azzardo di un registro fiabesco che intavola il ritratto di una ragazza rimasta prigioniera della sua infanzia girando però puntualmente a vuoto tra infantilismi e zuccherosità assortite. Un’opera prima senz’altro spudorata, ma troppo carente sul piano cinematografico e incapace di trasformare i propri evidenti limiti in punti di forza. Piccola parte, alle soglie dello scult, per Samuel L. Jackson. Cinque anni prima la Larson era stata scartata al provino per la parte di Kit. Presentato al Toronto Film Festival del 2017 e distribuito su Netflix nell’aprile del 2019.