La nación clandestina
La nación clandestina
Durata
128
Formato
Regista
Sebastián (Reynaldo Yujra) è stato esiliato dalla sua comunità aymara. Decide di tornare al suo villaggio e ballare fino alla morte, espiando così le sue colpe.
A ventitré anni dal suo esordio, Sanjinés si conferma un autore di rara coerenza stilistica e contenutistica: il suo cinema è sempre politico, radicato nella tradizione andina e di grande denuncia dell’alienazione delle persone indigene in un mondo che vorrebbe nel migliore dei casi ignorarle, nel peggiore eliminarle. Sebastián è forse il suo protagonista più complesso e sfaccettato: a metà strada tra la cultura andina e il mondo urbanizzato, in dubbio se perseguire la tradizione o la modernità, apparentemente incapace di una sintesi tra le due e addirittura violento e traditore nel suo spaesamento. Il cammino verso il villaggio è inframmezzato dai ricordi del suo passato e ci mostra ciò che spinse i suoi compaesani a cacciarlo. Le Ande sono onnipresenti, superbe testimoni della lotta per la sopravvivenza di una comunità assediata sia dall’esterno che dall’interno: toccante e potentissima la scena dello stupro di Sebastián ai danni di Basilia, in cui la macchina da presa si allontana dalla violenza in una lunga panoramica delle montagne che termina in un primo piano del Sebastián del presente, il cui sguardo muto, dolente e colpevole mostra tutta la tragicità del personaggio. Peccato per un ritmo un po’ zoppicante e per alcune sottotrame non del tutto risolte (la rivolta dei minatori in primis), ma il disegno d’insieme è toccante e spinge a ben più di una riflessione. Concha de oro al festival di San Sebastián.
A ventitré anni dal suo esordio, Sanjinés si conferma un autore di rara coerenza stilistica e contenutistica: il suo cinema è sempre politico, radicato nella tradizione andina e di grande denuncia dell’alienazione delle persone indigene in un mondo che vorrebbe nel migliore dei casi ignorarle, nel peggiore eliminarle. Sebastián è forse il suo protagonista più complesso e sfaccettato: a metà strada tra la cultura andina e il mondo urbanizzato, in dubbio se perseguire la tradizione o la modernità, apparentemente incapace di una sintesi tra le due e addirittura violento e traditore nel suo spaesamento. Il cammino verso il villaggio è inframmezzato dai ricordi del suo passato e ci mostra ciò che spinse i suoi compaesani a cacciarlo. Le Ande sono onnipresenti, superbe testimoni della lotta per la sopravvivenza di una comunità assediata sia dall’esterno che dall’interno: toccante e potentissima la scena dello stupro di Sebastián ai danni di Basilia, in cui la macchina da presa si allontana dalla violenza in una lunga panoramica delle montagne che termina in un primo piano del Sebastián del presente, il cui sguardo muto, dolente e colpevole mostra tutta la tragicità del personaggio. Peccato per un ritmo un po’ zoppicante e per alcune sottotrame non del tutto risolte (la rivolta dei minatori in primis), ma il disegno d’insieme è toccante e spinge a ben più di una riflessione. Concha de oro al festival di San Sebastián.