Dopo novanta pellicole interpretate in sei decenni di carriera, meriterebbe un film a parte la vita di Kirk Douglas, che il 9 dicembre 2016 taglia il venerabile traguardo dei 100 anni d’età . Un’esistenza vissuta intensamente fuori e dentro il grande schermo, quella dell’ultimo grande decano della Hollywood d’oro, che è anche filantropo, scrittore di romanzi e poesie e, non ultimo, padre dell’altrettanto noto Michael Douglas.
Issur Danielovitch Demsky: questo il vero nome di Douglas, nato nel 1916 ad Amsterdam, Stato di New York, da genitori ebrei migrati dalla Bielorussia. Il padre è un umile straccivendolo e lui cresce nel quartiere più povero della città , barcamenandosi in una quarantina di lavori diversi (tra questi, venditore di giornali, giardiniere, bidello e persino lottatore) per pagarsi gli studi di recitazione e sbarcare a Broadway. Dopo aver servito la Marina durante la Seconda guerra mondiale, sposato la prima moglie Diana Dill, da cui avrebbe avuto i figli Michael e Joel (dalla seconda, Ann Buydens, nasceranno invece Peter e Eric), l’esordio a Hollywood arriva nel 1946 con Lo strano amore di Marta Ivers di Lewis Milestone. È il primo di una lunghissima serie di ruoli che lo trasformano in un’icona, incarnazione di un’umanità sfaccettata, tra luci e ombre.
Fisico da atleta, sguardo magnetico e lineamenti scolpiti, con quella celebre fossetta sul mento a suo modo entrata nella Storia, Douglas ha interpretato sul grande schermo, come lui stesso ha dichiarato, una lunga serie di “bastardiâ€: uomini duri, inflessibili, talvolta di disturbante cattiveria, ma anche tormentati, complessi, umanissimi. Come il gangster del noir Le catene della colpa di Jacques Tourneur (1947), il pugile autodistruttivo di Il grande campione di Mark Robson (1949, per cui guadagna la sua prima nomination agli Oscar), il giornalista amorale e senza scrupoli di L’asso nella manica di Billy Wilder (1951), il duro poliziotto di Pietà per i giusti di William Wyler (1951) o il cinico produttore di Il bruto e la bella di Vincente Minnelli (1952, seconda nomination).

L’asso nella manica
Come pochi altri, dunque, già nella prima parte di carriera Douglas lavora con i più grandi registi, fino all’incontro forse più prestigioso: quello con Stanley Kubrick, per cui è un colonnello disincantato nel capolavoro antimilitarista Orizzonti di gloria (1955) e il celebre schiavo ribelle nel peplum Spartacus (1960), entrambi co-prodotti dall’attore. Perché nel percorso creativo di Douglas, allergico ai contratti delle majors e spesso in contrasto con i cineasti, c’è anche la produzione di una trentina di pellicole nonché l’estemporanea esperienza di regista, con Un magnifico ceffo di galera (1973) e I giustizieri del West (1975). E ancora: Douglas è Vincent Van Gogh in Brama di vivere di Minnelli (terza nomination agli Oscar), l’eroe omerico nell’Ulisse di Mario Camerini nonché (anti)eroe western in una serie di film che va Il grande cielo di Howard Hawks (1952) a Uomini e cobra di Joseph L. Mankiewicz (1970), passando per Sfida all’Ok Corral di John Sturges (1957) – dov’è un indimenticabile Doc Holliday – e i toni tragici/mélo de L’occhio caldo del cielo di Robert Alrich (1961).

Brama di vivere

Spartacus
Da fine anni Settanta, la sua carriera – come quella di ogni grande divo della Hollywood classica – è progressivamente declinata in una sfilza di pellicole minori (ricordiamo almeno il dittico con Brian De Palma di Fury e Vizietti familiari, usciti nel 1978 e 1980) sino al commiato di Vizio di famiglia (Fed Schepisi, 2003) in cui recita con il figlio Michael, la ex Diana e il nipote Cameron. Tracciando il bilancio di un percorso tanto longevo e variegato, spiace solo che l’industria hollywoodiana non abbia saputo riconoscere sino in fondo il suo talento, tributandogli solo un tardivo Oscar alla carriera nel 1996. Quella statuetta laccata d’oro avrebbe però forse cambiato ben poco nell’esistenza di chi è stato ed è molto più che una stella del firmamento di celluloide. Il figlio del venditore di stracci divenuto divo, nel festeggiare il secolo di vita, ci guarda con il suo sorriso sardonico tante volte sfoggiato sullo schermo e la consapevolezza di essere, anzitutto, un sopravvissuto (a un incidente in elicottero, a un ictus e altri malanni vari, alla triste morte del figlio Eric per overdose di droga). Buon compleanno, Kirk.