«Noi esseri umani abbiamo un corpo. Siamo animali razionali, ma siamo anche animali razionali: la nostra razionalità è incarnata.» (Mark Johnson, The Body in the Mind)
Corpo e cinema, due entità legate a doppio filo fin dalla nascita della settima arte. Sia per l'attiva partecipazione spettatoriale, che comprende reazioni emotive e carnali, sia per il protagonismo imprescindibile del corpo sullo schermo: anatomie scomposte e ricomposte da scelte di inquadratura, che raccontano storie attraverso la fisicità. Pioniere dell'arte cinematografica, Georges Méliès ha teorizzato e poi messo in pratica i concetti di attrazione e illusione nello spettacolo, soprattutto attraverso l'uso del corpo: basti pensare al suo L'homme à la tête en caoutchouc, in cui una testa viene gonfiata fino a esplodere fragorosamente.
Corpi esaltati, sviliti, magnificati, martoriati. Ma il corpo passa a essere più evidentemente centrale, sullo schermo, grazie al body horror, detto anche horror biologico: la mutazione diventa l'elemento primario atto a veicolare sentimenti e allegorie, paura e cambiamento sociale. Non solo deformazione, in ogni caso: sono molti i film lontani (più o meno) dal genere orrorifico che hanno affrontato la tematica. Ecco una lista di dieci titoli più uno, rigorosamente in ordine cronologico, incentrati sul tema del corpo.
1) L'invasione degli ultracorpi (1956) di Don Siegel: capolavoro che prende spunto da un romanzo di Jack Finney. Uomini e donne che non riconoscono più i propri cari, sostituiti da una misteriosa razza aliena; e qui sta tutto l'orrore rappresentato da Siegel il quale, attraverso la duplicazione corporea, mette in scena un mirabile saggio sulla paranoia e su quel perturbante freudiano che vedeva proprio l'ambiente domestico come il luogo in cui possono svilupparsi le paure più terribili. Imitato e mai eguagliato.
2) Occhi senza volto (1960) di Georges Franju: un esperto nel trapianto di tessuti tenta di ricostruire il volto della figlia Christiane, rimasta orribilmente sfigurata a causa di un incidente automobilistico, deturpando avvenenti ragazze e usandole come materia prima. Da un romanzo di Jean Redon, un folgorante horror in bilico tra fisicità estrema e stranianti derive allucinatorie: il vero centro propulsore della vicenda si rivela l'ambigua Christiane, angelica e al tempo dispensatrice di morte, eterea ma estremamente terrena con le ferite che ne affliggono la carne, attirata dal miraggio di una nuova vita ma perennemente in bilico tra rinnovamento e senso di colpa.
3) Viaggio allucinante (1966) di Richard Fleischer: grande classico della fantascienza e cult degli anni Sessanta, tratto da un racconto di Otto Klement e Jerome Bixby. Stupore e meraviglia, secondo la migliore lezione del cinema delle origini, in questo viaggio tra scienza e fantastico, in cui l'interno del corpo umano diventa universo da esplorare e temere, simbolo di suggestioni orrorifiche da manuale. Con un remake (Salto nel buio di Joe Dante, 1987).
4) Alien (1979) di Ridley Scott: capolavoro senza tempo che travalica i generi. Alla scelta di non mostrare mai in primo piano l'alieno, una creatura misteriosa, multiforme e spaventosa, perfetta materializzazione dell'anomalia e dell'ignoto, si alternano le degenerazioni fisiche del contagio subito dai protagonisti, mentre su tutto domina la metafora del grembo materno, dall'astronave Nostromo (il cui computer di bordo, non a caso, è chiamato “Madre”) alla maligna gestazione destinata a dare vita allo xenomorfo.
5) Basket Case (1982) di Frank Henenlotter: Il giovane Duane si aggira per New York con un'enorme cesta di vimini, che contiene il deforme fratello siamese Belial. Decisi a vendicarsi della separazione subita per volere del padre, elimineranno uno a uno i responsabili. Piccolo horror di serie B diretto dall'esordiente Henenlotter, Basket Case risente di uno stile semiamatoriale, di effetti speciali scadenti e di uno sviluppo a tratti incoerente; ma la visione di Belial, mostruoso torso mai realmente divenuto uomo, non si dimentica facilmente. Solo per palati forti.
6) Videodrome (1983) di David Cronenberg: «gloria e vita alla nuova carne». Cronenberg, il profeta, considerato tra i massimi esponenti del body horror, dà vita a un lucido incubo sulla realtà di fine millennio. Emblema dei feticci autoriali sulla mutazione e sulla fusione tra uomo e macchina, il film è una denuncia dei pericoli che il fascino della tecnologia esercita sull'essere umano. Impatto visivo straordinario e sequenze da antologia.
7) La mosca (1986) di David Cronenberg: il regista canadese, ancora una volta, si concentra sulle mutazioni del corpo e sulle derive di uno sviluppo tecnologico incontrollato e, realizzando il remake de L'esperimento del dottor K. (1958) di Kurt Neumann, spicca il volo. La presenza fisica dei corpi vive ossessivamente in ambienti cupi contrassegnati dalla presenza di congegni metallici e calcolatori informatici all'avanguardia per l'epoca, in una messa in scena rigorosa che passa in rassegna carne, violenza, sessualità deviata, paura del contagio e contaminazione come elemento primario della degenerazione umana.
8) Tetsuo (1989) di Shin'ya Tsukamoto: opera d'esordio dal valore epocale. Ritagliatosi a forza un posto d'onore nell' immaginario cyberpunk, Tetsuo trova al centro delle sue tematiche un richiamo forte al cinema di David Cronenberg: il corpo, le sue mutazioni e trasformazioni (la contaminazione carne-metallo, in primis), il liberarsi delle vecchie spoglie per rinascere (anche sessualmente) in qualcosa di nuovo e differente. Un cult assoluto.
9) Memento (2000) di Christopher Nolan: «Ricordati di non dimenticare». Nolan firma l'opera che ne ha rivelato al mondo il talento muscolare e visionario, nonché la capacità di abbinare a una sensazionale riscrittura delle regole del cinema di genere un efficace approccio intellettuale e autoriale. Un film dove la memoria si fa carne: il corpo tatuato del protagonista Guy Pearce diventa simbolo di paranoia e di uno straziante dramma interiore.
10) Primo amore (2004) di Matteo Garrone: dal romanzo autobiografico Il cacciatore di anoressiche di Marco Mariolini, che un anno dopo la pubblicazione del libro uccise l'ex fidanzata Monica Calò a coltellate, il film forse più estremo e allucinato di Garrone. Un'immersione nell'abisso di una perversione psicologica che si traduce in martirio fisico: la macchina da presa indugia, sezionandolo, sul corpo sempre più scheletrico di una protagonista plagiata, ridotta quasi in cenere dall'ossessione dello psicotico compagno. L'orrore, per il regista, è una questione di claustrofobia privata e di schiavizzazione affettiva.
Bonus: Girl (2018) di Lukas Dhont. Coraggiosa e potentissima opera prima diretta dal giovane regista belga (classe 1991), Girl è una dolente e livida incursione nei sogni privati e nella fisicità esposta di un’adolescente alle prese con una sessualità tutt’altro che pacificata. Un corpo a cui serve tempo per cambiare, costantemente martoriato da dolorose costrizioni autoinflitte; e la macchina da presa, funzionalmente, ci risparmia ben poco. Toccante interpretazione del protagonista Victor Polster.
Sara Barbieri