Che ora è laggiù?
Ni na bian ji dian
2001
Paesi
Taiwan, Francia
Generi
Drammatico, Commedia, Sentimentale
Durata
116 min.
Formato
Colore
Regista
Tsai Ming-liang
Attori
Lee Kang-sheng
Chen Shiang-chyi
Lu Yi-Ching
Miao Tien
Jean-Pierre Léaud
Rimasto da poco orfano di padre, il venditore ambulante di orologi Hsiao-kang (Lee Kang-sheng) conosce fuggevolmente una ragazza (Chen Shiang-Chyi) in procinto di partire per Parigi. Mentre sua madre (Lu Yi-Ching) cerca sempre più ossessivamente di entrare in contatto con il marito defunto (Miao Tien), Hsiao-kang comincia a spostare sul fuso orario francese ogni orologio che incontra. A Parigi, nel frattempo, la ragazza vive un forte senso di isolamento. Giunto al suo quinto film, Tsai Ming-liang fa i conti con la scomparsa del padre avvenuta pochi anni prima e porta a un nuovo livello di maturità espressiva i temi ricorrenti del suo cinema (solitudine, incomunicabilità, alienazione e, ora, anche il lutto). Ancora una volta è nella dimensione antinarrativa che il cinema del regista malese trova il suo corso: se i due eventi cardine della pellicola (la morte di Miao Tien e l'incontro/separazione tra Lee Kang-sheng e Chen Shiang-Chyi) avvengono nel primo quarto d'ora, nei restanti novanta minuti i personaggi vivono un dopo immobile, dato dal susseguirsi di situazioni autoconclusive, slegate e fondamentalmente effimere. Non bisogna attendere che Hsiao-kang arrivi a spostare le lancette dell'enorme orologio della città — in una scena degna del miglior cinema comico muto — per realizzare che qui il tempo è già da un bel pezzo collassato su se stesso, avendo perso la sua funzione regolatrice e il suo valore oggettivo in favore di una scansione tutta sentimentale: tocca al regista mettere ordine nel caos generato, attraverso un sapiente montaggio alternato che, insieme ad alcune riuscite intuizioni narrative (su tutte il doppio incontro con Jean-Pierre Léaud, prima ne I 400 colpi da parte di Lee Kang-sheng e poi in carne e ossa da parte di Chen Shiang-Chyi), abbatte ogni distanza e porta i personaggi, ora perfettamente sincronizzati nella reciproca solitudine esistenziale, a dialogare inconsapevolmente fra loro. Questa volta le tinte fosche dei precedenti film, che solo di tanto in tanto venivano rischiarate da fugaci lampi di ironia, si dissolvono facendo posto a un umorismo costante e surreale (influenzato dall'arte di Buster Keaton e Jacques Tati) che infonde una rinnovata leggerezza a un cinema già di per sé impalpabile e rarefatto. A suo modo indimenticabile, è stato uno dei film più suggestivi del Festival di Cannes 2001.
Maximal Interjector
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