Vive l'amour
Ai qing wan sui
1994
Paese
Taiwan
Generi
Drammatico, Sentimentale
Durata
118 min.
Formato
Colore
Regista
Tsai Ming-liang
Attori
Lee Kang-sheng
Chen Chao-jung
Yang Kuei-Mei
Venditore di loculi per urne cinerarie, Hsiao-kang (Lee Kang-sheng) trascorre regolarmente il suo tempo in un appartamento sfitto di cui ha rubato le chiavi. In realtà l'appartamento viene spesso visitato anche dalla giovane agente immobiliare May Lin (Yang Kuei-Mei) e dal venditore ambulante Ah-jung (Chen Chao-jung) che lo utilizzano per i loro occasionali rapporti sessuali. Presentato in concorso alla Mostra di Venezia del 1994, dove si è aggiudicato il Leone d'oro ex aequo con Prima della pioggia di Milcho Manchevski, il secondo film di Tsai Ming-liang sancisce definitivamente – in misura più chiara e cosciente del precedente Rebels of the Neon God (1992) – le coordinate della sua personale cifra stilistica, che da qui in poi resterà sempre ancorata all'antinarrazione e al rigore estremo della messa in scena. Posando lo sguardo su una Taipei gelida e anonima, tratteggiata senza inflessioni documentaristiche e indistinguibile da qualsiasi altra grande metropoli, Tsai riflette come un moderno Antonioni sull'alienazione urbana, la spersonalizzazione del soggetto e l'incomunicabilità fra gli individui (oltre ai rimandi sparsi a L'avventura e La notte, il riferimento più evidente è a L'eclisse, le cui atmosfere mute e desolanti vengono esplicitamente rievocate nella lunga sequenza finale nel parco in costruzione). Per farlo, con un pizzico di maniera di troppo, mette in scena un ménage à trois paradossale e impalpabile, che si sviluppa attorno a un ambiente neutro (una casa spoglia e disadorna come quanti vi cercano rifugio) e che, in definitiva, favorisce la separazione piuttosto che l'incontro: nudi e inermi di fronte alla macchina da presa, i tre protagonisti condividono una solitudine senza rimedio, una condizione tragica che è quella propria dell'uomo contemporaneo. È allora a questo punto che Tsai infonde alla pellicola un tocco di inaspettata leggerezza, e dai movimenti furtivi dei corpi, dagli incontri mancati, sfiorati o propriamente evitati scaturisce una comicità silenziosa e tutta visiva che con un coraggioso balzo all'indietro si ricollega a filo diretto con il cinema di Buster Keaton. Toccante e profondo, ma anche eccessivamente autocompiaciuto e vittima di qualche passaggio forzatamente ostico.
Maximal Interjector
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