Standard Operating Procedure: L'orrore della verità
Standard Operating Procedure
2008
Paese
Usa
Genere
Documentario
Durata
116 min.
Formato
Colore
Regista
Errol Morris
Nel 2003 uno scandalo colpì gli Stati Uniti: i militari americani nella prigione di Abu Ghraib vennero fotografati in crudissime pose di abusi e di scherno nei confronti dei prigionieri iracheni. Errol Morris prova a ricostruire tali fatti andando a intervistare i diretti responsabili. Dopo aver trattato la politica militare e la sfera del potere nel suo precedente lavoro (The Fog of War del 2003), Errol Morris torna dietro la macchina da presa per realizzare quello che ne risulta essere un perfetto seguito, almeno dal punto di vista contenutistico. Standard Operating Procedure – La verità dell'orrore, infatti, prende le mosse dallo scandalo militare avvenuto circa quattro anni prima non tanto per far luce sui fatti in questione, quanto per sviscerare maggiormente il tema della responsabilità e del senso del dovere laddove il potere e la politica impongono le loro mani. I soldati responsabili delle terribili fotografie e delle relative torture hanno l'occasione di raccontare la loro versione dei fatti, puntando il dito contro i loro superiori che hanno imposto ordini severi e disumani nei confronti dei detenuti. L'America li bollerà come “mele marce”, ma si tratta solo di rare personalità disturbate e fuori controllo oppure di inevitabili figure figlie di un sistema corrotto e spietato? Senza mai giudicare nessuno e lasciando allo spettatore l'ultima sentenza, Morris veste i panni di un moderatore neutrale, inquadrando con i medesimi canoni tutti i protagonisti. Il film, però, convince meno rispetto ad altri titoli dello stesso autore per via dello scarno materiale che il regista possiede: costretto a ricostruire in scena gli episodi raccontati dai soldati, Standard Operating Procedure – La verità dell'orrore rischia di risultare un po' troppo ripetitivo e pedante, nonostante tutte le parole pronunciate siano di grande impatto. La musica fiabesca composta da Danny Elfman riesce a creare un ottimo contrasto con le scellerate azioni che vengono ricordate e ricostruite, ma la sensazione che un mediometraggio sarebbe stato più calzante non riesce a svanire durante la visione. Il film si aggiudicò il Gran Premio della Giuria al Festival di Berlino.
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