
All Night Long
All Night Long
Durata
91
Formato
Regista
Aurelius Rex (Paul Harris), pianista jazz, e Delia Lane (Marti Stevens), ex cantante, festeggiano il loro primo anno di matrimonio tra musica e amici. Le macchinazioni di Johnny (Patrick McGoohan), che vorrebbe che la donna tornasse a cantare formando una band con lui, trasformano la notte di festa in un nido di invidie e gelosie.
Basil Dearden, sempre attento a tematiche calde e scomode, attualizza l’Otello di Shakespeare in maniera sorprendente e per nulla banale: geniale l’idea di ambientarlo nella scena jazz londinese (per altro ingaggiando musicisti titanici sia dal Regno Unito che dagli Stati Uniti) e di rendere fin da subito esplicita, e anzi celebrata, la relazione dei protagonisti. La rappresentazione filmica di un rapporto interrazziale, tema allora ancora avvolto da un certo tabù dalle major cinematografiche, viene normalizzato e dato per assodato, permettendo di focalizzarsi di più e fin da subito sulle complesse e intense personalità dei presenti alla festa. Nessun personaggio è infatti scritto con superficialità, nonostante la durata contenuta della pellicola. Neanche a dirlo, la colonna sonora è esplosiva e penetrante, capace di far dialogare i personaggi senza bisogno di parole, come nei due bellissimi assoli di batteria di Johnny, Iago moderno e sfaccettato, personaggio ambiguo in grado di comunicare con sincerità proprio solo seduto al suo strumento. Ma forse la scelta più coraggiosa e sovversiva di tutte sta in un finale che in ogni modo evita la tragedia: ben lontana dall’essere una scelta buonista o codarda, questo stravolgimento del testo d’ispirazione porta a un rifiuto del determinismo shakespeariano suggerendo un cambio di sensibilità che, inquadrato in un contesto in un cui il jazz -simbolo per eccellenza di improvvisazione e libertà - è dominante, mostra la possibilità di un’altra via d’uscita, riuscendo a raggiungere risultati inattesi e non scontati. Ottime le interpretazioni di tutto il cast e perfetta la regia che, suadente durante le performance musicali, sa poi incorniciare con durezza i volti rosi da rabbia e dolore dei protagonisti. Spicca Betsy Blair, in un ruolo secondario dolentissimo. Come lei, anche lo sceneggiatore Paul Jerrico (che qui firma con pseudonimo) era nel libro nero del maccartismo: il suo coraggio nel rappresentare con sincerità la società moderna si vede tutto.
Basil Dearden, sempre attento a tematiche calde e scomode, attualizza l’Otello di Shakespeare in maniera sorprendente e per nulla banale: geniale l’idea di ambientarlo nella scena jazz londinese (per altro ingaggiando musicisti titanici sia dal Regno Unito che dagli Stati Uniti) e di rendere fin da subito esplicita, e anzi celebrata, la relazione dei protagonisti. La rappresentazione filmica di un rapporto interrazziale, tema allora ancora avvolto da un certo tabù dalle major cinematografiche, viene normalizzato e dato per assodato, permettendo di focalizzarsi di più e fin da subito sulle complesse e intense personalità dei presenti alla festa. Nessun personaggio è infatti scritto con superficialità, nonostante la durata contenuta della pellicola. Neanche a dirlo, la colonna sonora è esplosiva e penetrante, capace di far dialogare i personaggi senza bisogno di parole, come nei due bellissimi assoli di batteria di Johnny, Iago moderno e sfaccettato, personaggio ambiguo in grado di comunicare con sincerità proprio solo seduto al suo strumento. Ma forse la scelta più coraggiosa e sovversiva di tutte sta in un finale che in ogni modo evita la tragedia: ben lontana dall’essere una scelta buonista o codarda, questo stravolgimento del testo d’ispirazione porta a un rifiuto del determinismo shakespeariano suggerendo un cambio di sensibilità che, inquadrato in un contesto in un cui il jazz -simbolo per eccellenza di improvvisazione e libertà - è dominante, mostra la possibilità di un’altra via d’uscita, riuscendo a raggiungere risultati inattesi e non scontati. Ottime le interpretazioni di tutto il cast e perfetta la regia che, suadente durante le performance musicali, sa poi incorniciare con durezza i volti rosi da rabbia e dolore dei protagonisti. Spicca Betsy Blair, in un ruolo secondario dolentissimo. Come lei, anche lo sceneggiatore Paul Jerrico (che qui firma con pseudonimo) era nel libro nero del maccartismo: il suo coraggio nel rappresentare con sincerità la società moderna si vede tutto.