Scott Lang (Paul Rudd), agli arresti domiciliari, cerca di bilanciare la vita domestica con le sue responsabilità nel ruolo di Ant-Man, quando Hope van Dyne (Evangeline Lilly) e Hank Pym (Michael Douglas) ricompaiono con la nuova missione di portare alla luce dei segreti del passato. Formeranno una squadra, con Van Dyne che assume l'identità di nuova Wasp.

Seconda avventura dedicata al cinecomic divertente e all’insegna della leggerezza di casa Marvel, Ant-Man and the Wasp è un sequel che gioca sul sicuro tentando di capitalizzare il tono e le strizzate d’occhio del primo episodio, risultando però ancor meno convincente e memorabile all’interno del mosaico dei superhero movies della Marvel. Il modello più diretto rimangono anche in questo caso, a livello commercial ed editoriale, i Guardiani della Galassia di James Gunn, ma la freschezza e l’impatto dell’operazione sono di gran lunga al di sotto. Primo Ant-Man a non avere nessun legame con la precedente eredità di Edgar Wright, che ha a lungo coccolato il progetto senza riuscire a realizzarlo, il film diretto da Peyton Reed ha addosso troppa della vena ironica imposta dal capo dei Marvel Studios Kevin Feige, ma il risultato è più che mai stucchevole e indigesto nelle continue strizzate d’occhio, molto spesso arzigogolate e autoreferenziali più che ludiche e gustose. A lasciare qualche spiraglio in più è l’insistita dimensione nerd e scientifica, che fa i conti con i viaggi quantici e i salti nel tempo a misura di amore e di emozione, ma nel complesso è anch'essa piuttosto irrisolta e mal sviluppata, proprio come i disastri combinati in Germania da Ant-Man con gli Avengers e Captain America, che hanno portato alla violazione degli accordi di Sokovia. Fastidiosa alla lunga l'interpretazione Paul Rudd, impalpabile la presenza femminile di Evangeline Lilly, mentre i veterani Michael Douglas e Michelle Pfeiffer offrono di fatto delle partecipazioni speciali, episodiche e dal minutaggio purtroppo troppo ridotto. Piccola parte anche per Laurence Fishburne, mentre James Marsden è un viscido villain incolore. Spassosi, in compenso, il cameo di Stan Lee, la gag sul siero della verità e la battuta su Antonio Banderas nella bella scena ambientata nella Baia di San Francisco. Degno di nota, anche se si tratta comunque di lampi isolatissimi, il finale, che ironizza sulla dicotomia tra streaming e sale cinematografiche con un divertente drive-in in miniatura.
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