Wadjda (Waad Mohammed) è una ragazzina di dieci anni che vive in un contesto conservatore e religiosamente tradizionalista alla periferia di Ryiad. Il suo sogno è avere una bicicletta, mezzo però quasi vietato alle donne: l'orgogliosa Wadjda farà comunque di tutto per raggiungere i propri scopi.

L'esordio nel lungometraggio della prima regista donna dell'Arabia Saudita è una lieve, ma tutt'altro che innocua, opera prima che si ispira a modelli altri e alti (dal Neorealismo italiano, i cui riferimenti vanno anche oltre la scelta di una bicicletta, al cinema di Abbas Kiarostami), ma è comunque dotata di una forte personalità. Funziona il ritratto di una protagonista che diventa sia (in quanto vittima) specchio di una situazione culturale problematica, sia la miccia che ne può provocare il cambiamento e l'evoluzione (si veda il rapporto con la madre e quello, trattato con estrema delicatezza, con il coetaneo amico del cuore); discreta anche la lievità della descrizione, che permette di mettere in risalto particolari decisivi (i tacchi e il rossetto della preside ultra-tradizionalista e un po' ipocrita) e di cogliere un mondo scosso dalla lotta tra il tradizionalismo castrante e le sempre più frequenti, per quanto più o meno sommesse, ventate di modernità. Alcuni passaggi sono piuttosto convenzionali e lo stile è un po' acerbo, ma è un lavoro comunque interessante e piuttosto intenso. Menzione speciale per il finale, perfetta metafora di una situazione culturale complessa e dal futuro incerto.
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