The Birth of a Nation – Il risveglio di un popolo

The Birth of a Nation

Anno

Paese

Usa

Generi

Durata

117

Formato

Regista

Nat Turner (Nate Parker), schiavo afroamericano, è un predicatore che ha imparato a leggere e che si pone come guida spirituale per i suoi compagni, anch’essi privati della propria libertà. Nel 1831 Turner si mette a capo di un movimento di liberazione con l’obiettivo di affrancare gli afroamericani prigionieri in Virginia. I moti capeggiati da questo novello Spartacus conosceranno degli esiti violentissimi…

Basato su una storia vera tutt’altro che nota, The Birth of a Nation segna l’esordio alla regia dell’attore Nate Parker, che per il suo passaggio dietro la macchina da presa ha scelto una vicenda black fortemente impregnata di temi come la rivalsa razziale e l’autonomia nera in America, della quale l’operazione prova a tracciare una sorta di precedente storico immerso nel sangue della violenza e dell’insurrezione armata. Niente di più attuale e scottante, soprattutto data la recrudescenza degli omicidi ai danni della popolazione di colore che il paese ha conosciuto in misura sempre maggiore fino alle ultime battute del secondo mandato di Barack Obama, ma le modalità della messa in scena adottata dall’onnipresente Parker, al contempo sceneggiatore, produttore, regista e attore protagonista, sollevano più di un dubbio. Il sadismo sopra il livello di guardia e l’estetizzazione plastica della violenza, costantemente calcata dal punto di vista figurativo, sono infatti i principali leitmotiv di un’opera tanto feroce quanto compiaciuta, che fin dal titolo allude in maniera paradossale e polemica a Nascita di una nazione (1915) di David Wark Griffith e alla sua eloquente patina di razzismo e contemporanea celebrazione del Ku Klux Klan. Un rimando che restituisce appieno i toni esagitati e perfino esasperati dell’operazione, dotata di una notevole e muscolare forza registica ma decisamente vessata dal personalismo dell’attore-regista, che mette in scena se stesso con un egocentrismo e una celebrazione cristologica della propria figura che amplificano all’infinito gli interrogativi di natura etico-morale sul film. La voracità di Parker produce non pochi sbandamenti retorici ed enfatici - il finale, a tal proposito, è preda di un allarmante crescendo - ma è innegabile la sua abilità nel gestire il proprio formalismo e nel capitalizzare i rari frangenti in cui la brutalità si raffredda per lasciare posto a sequenze cariche di densissima profondità pittorica. Presentato al Sundance Film Festival 2016, dove si è aggiudicato il premio del pubblico e il gran premio della giuria, e passato in Italia alla Festa del Cinema di Roma.
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