Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza
En duva satt på en gren och funderade på tillvaron
Premi Principali
Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia 2014
Durata
101
Formato
Regista
Varie storie di un'umanità allo sbando, costretta a confrontarsi tragicomicamente con il dolore e la morte. Tra presente e passato, spicca la vicenda di due frustrati venditori (Holger Andersson e Nils Westblom).
Le beffe della vita e le contraddizioni di una società in pieno collasso. Roy Andersson scrive e dirige una ballata dolceamara in bilico tra surrealismo ed esistenzialismo, chiaramente ispirata ai temi e alle forme del teatro scandinavo (impossibile non pensare a Johan August Strindberg) e dell'assurdo (evidenti gli influssi di Samuel Beckett ed Eugène Ionesco). Visivamente e concettualmente ipnotiche le inquadrature fisse e asettiche, che fotografano i personaggi, ridotti a manichini in balìa degli eventi, in un contesto minimalista e destrutturato. Le ripetizioni verbali e tematiche, i ricicli storici, la ridicolizzazione del Potere mostrato nella sua forma più becera: tutto concorre a veicolare l'impossibilità di dare un senso all'esistenza (come suggerisce il sarcastico titolo, ispirato a Pieter Bruegel) e a metaforizzare le miserie umane tramite l'utilizzo di un umorismo spiazzante e corrosivo. Un viaggio comico e disperato, divertente e disturbante, ulteriormente esaltato da una evocativa e significativa colonna sonora e dalla luminosa fotografia (di István Borbás e Gergely Pálos), legata a doppio filo all'ossessione pittorica di Andersson. Un'esperienza cinematografica stratificata e straniante, probante e tutt'altro che facile, nonostante gli inserti da commedia: non certo dedicata a chi cerca il disimpegno. Leone d'oro alla 71ª edizione della Mostra Internazionale d'arte cinematografica di Venezia.
Le beffe della vita e le contraddizioni di una società in pieno collasso. Roy Andersson scrive e dirige una ballata dolceamara in bilico tra surrealismo ed esistenzialismo, chiaramente ispirata ai temi e alle forme del teatro scandinavo (impossibile non pensare a Johan August Strindberg) e dell'assurdo (evidenti gli influssi di Samuel Beckett ed Eugène Ionesco). Visivamente e concettualmente ipnotiche le inquadrature fisse e asettiche, che fotografano i personaggi, ridotti a manichini in balìa degli eventi, in un contesto minimalista e destrutturato. Le ripetizioni verbali e tematiche, i ricicli storici, la ridicolizzazione del Potere mostrato nella sua forma più becera: tutto concorre a veicolare l'impossibilità di dare un senso all'esistenza (come suggerisce il sarcastico titolo, ispirato a Pieter Bruegel) e a metaforizzare le miserie umane tramite l'utilizzo di un umorismo spiazzante e corrosivo. Un viaggio comico e disperato, divertente e disturbante, ulteriormente esaltato da una evocativa e significativa colonna sonora e dalla luminosa fotografia (di István Borbás e Gergely Pálos), legata a doppio filo all'ossessione pittorica di Andersson. Un'esperienza cinematografica stratificata e straniante, probante e tutt'altro che facile, nonostante gli inserti da commedia: non certo dedicata a chi cerca il disimpegno. Leone d'oro alla 71ª edizione della Mostra Internazionale d'arte cinematografica di Venezia.